I giardini dell’imperatrice

La villa di Livia a Prima porta. Una donna e il suo rifugio in una natura reale e illusoria
Villa Livia
Una parete del 'giardino dipinto' nel ninfeo sotterraneo di Villa Livia a Roma, affresco, Museo di Palazzo Massimo (Foto Wikipedia)

Livia amava la natura e quando poteva lasciare la dimora sul Palatino che divideva con l’augusto consorte si rifugiava volentieri nella sua villa suburbana che dall’alto di una collina tufacea dominava la via Flaminia. Lì, senza obblighi di etichetta, lontana dal frastuono dell’Urbe, la terza amatissima moglie di Ottaviano poteva dedicarsi in piena tranquillità all’attività che più le era congeniale: il giardinaggio.

Quella villa le era cara non solo perché eredità paterna, ma per un episodio prodigioso accadutole nella giovinezza e al quale aveva attribuito un fausto significato: un giorno (prima di fidanzarsi con colui che vinse su Marco Antonio, o subito dopo le nozze), mentre seduta nel giardino contemplava nella piana il sinuoso corso del Tevere, dall’alto le cadde in grembo, sfuggita a qualche rapace, una gallina di straordinaria bianchezza che recava nel becco un ramo di alloro provvisto di bacche. La fortunata gallina diventò il primo esemplare di un allevamento in ragione del quale quella località si chiamò Ad gallinas albas (Alle galline bianche). Quanto al ramo di alloro, una volta piantato nel terreno, divenne albero rigoglioso che con le sue fronde rifornì a lungo di corone gli imperatori nei loro trionfi.

Anche se la villa non sfoggiava quel lusso che ci si sarebbe potuto attendere da una donna del suo rango, non mancava di comodità e oltre agli ambienti privati e di rappresentanza e ad un impianto termale aveva anche un quartiere riservato agli ospiti. Notoriamente di gusti sobri, sia Livia che Ottaviano, a detta di Svetonio, più che essere amanti di statue e dipinti prediligevano portici e boschetti.

Tre i giardini posseduti dall’imperatrice: uno molto esteso con alberi silvestri, urbani e da frutto, arbusti e rampicanti, nel settore settentrionale del pianoro; uno piccolo con fiori e piante medicinali che lei curava personalmente ricavandone decotti, vicino alle camere da letto; e infine un terzo che non aveva bisogno né di cure, né di innaffiature: era infatti un ninfeo estivo seminterrato affrescato sulle quattro pareti.

Composto da 24 specie vegetali incompatibili tra loro e che non possono fiorire nello stesso periodo, era dunque non un giardino reale, ma piuttosto una rappresentazione dall’intenso significato simbolico. Vi si riconoscono alberi, arbusti e piante sempreverdi con valenza funeraria e speranza di immortalità: l’alloro, la palma da datteri, il pino domestico, l’abete rosso, il cipresso, il leccio, il bosso, il corbezzolo, l’oleandro, il mirto, il viburno, l’edera… Sono inoltre raffigurati alberi caducifoglie, piante e fiori come il cotogno, il melograno, la quercia, la scolopendria, il crisantemo, l’acanto, la camomilla, l’iris, la rosa centifolia, la viola selvatica… quali connessi a riti funebri di rigenerazione, quali dalle benefiche proprietà. Animano inoltre questo vero catalogo botanico uccelli di ben 69 specie!

In questo luogo incantato Livia si rifugiava nelle ore più calde del giorno. Il suo tempo trascorreva così tra natura coltivata e natura dipinta, tra visioni di essa reali e illusorie. La prima appagava il suo desiderio di veder crescere e prosperare le amate piante. La seconda invece, mentre le ricordava la transitorietà della vita, suggeriva – col suo rigenerarsi nell’alternanza delle stagioni – che la morte è solo un passaggio in attesa di una nuova rinascita.

Sopravvissuta alla morte di Augusto per circa vent’anni, Livia ebbe forse agio di riflettere molto su questi temi: morì infatti quasi novantenne nel 29 d.C.

Oggi la sua villa presso il borgo di Prima Porta è tornata ad essere meta di visitatori, dopo i recenti restauri e l’allestimento di coperture di protezione a mosaici ed affreschi. Nel giardino grande un profumato lauretum composto da 64 esemplari di Laurus nobilis (alloro) esalta la pianta prediletta dall’imperatrice, mentre la sala semi-ipogea che tanto scalpore destò al momento della scoperta nel 1863 ha ritrovato il suo giardino dipinto grazie all’immagine fotografica a grandezza naturale proiettata sulle pareti.

Gli affreschi originali, infatti, distaccati negli anni Cinquanta del secolo scorso per preservarli dal degrado, sono stati ricomposti nel Museo di Palazzo Massimo, a pochi passi dalla stazione Termini, in un ambiente che riproduce le proporzioni del ninfeo. Nel nuovo allestimento un sistema temporizzato di illuminazione simula l’effetto della luce diurna sulle scene dipinte nell’arco di una giornata. Proprio come poteva vederle Livia.

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