Desidero dare seguito al mio intervento della scorsa settimana riguardo alle conseguenze in India dei super dazi imposti dall’amministrazione Trump e al viaggio del premier indiano Modi in Giappone e poi in Cina. Lo faccio ricollegandomi anche alle considerazioni – che condivido pienamente – di Michele Zanzucchi sul vertice di 25 Paesi non occidentali – fra cui Cina, Russia, India, Turchia, Pakistan e Iran – ospitati da Xi Jinping a Tianjin per la XXV edizione dell’incontro dell’Organizzazione di Shanghai (Sco).
Faccio una ulteriore premessa. Approfittando di una settimana di vacanze, ho letto un interessante volumetto di fresca pubblicazione del noto storico e saggista Aldo Schiavone che riflette sull’attuale stato dell’Occidente – in particolare l’Europa, afferma lo storico –, che pare essere caratterizzato dal non avere un pensiero. Occidente senza pensiero, recita drammaticamente il titolo. E l’apertura è ancor più dura e preoccupante: «[…] si è aperto da qualche tempo, nell’indifferenza generale, un vuoto inquietante. Prodottosi quasi di colpo, ha per causa un fatto senza precedenti, con conseguenze che si stanno rivelando via via più disastrose: la scomparsa dalla scena di Europa del grande pensiero umano: filosofia, teoria politica, scienze storiche e sociali».
In effetti, di fronte alle nozze d’argento dello Sco, con l’eccezione di un intervento dell’Ispi (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), non mi pare che in Italia, per esempio, si sia risposto con una riflessione sul senso dell’evento, sebbene questo si sia svolto non in un Paese qualsiasi, ma in Cina, e non con persone ordinarie, ma con Putin, Modi, Erdogan, Kim Jong-un e molti altri, sia dell’area considerata islamica (per esempio l’Arabia Saudita e gli Emirati), che dei Paesi dell’Asia centrale quasi tutti governati attualmente da retaggi più o meno velati di impronta sovietica. A Tianjin, poi, si è parlato certamente di economia, ma soprattutto di sicurezza, dopo una parata ufficiale che è già passata alla storia come la più imponente e impressionante mai vista. Insomma, tutti ingredienti su cui riflettere e anche profondamente.
Quello che più importa è che il messaggio che questo gruppo assai variegato intende rivolgere a Trump e all’Occidente (leggi Europa) è l’impegno a voler offrire un’alternativa all’attuale ordine mondiale. Xi Jinping lo ha detto chiaramente, senza mai fare nomi, ma mettendo in chiaro che in un mondo dove i cambiamenti sono epocali e le tensioni al massimo, il sud globale è chiamato a contribuire alla nascita di un nuovo ordine globale, che non può assolutamente essere monopolare. Come alcuni hanno fatto notare – fra questi anche il nostro George Ritinsky – non ci state parole “contro” qualcuno o un confronto frontale con altri blocchi. Il senso è stato quello che senza un nuovo assetto di equilibri sarà difficile mantenere la pace a livello mondiale. E il sud globale si sente interpellato in prima persona. «Le regole del mondo non sono più un affare esclusivo del blocco transatlantico e, a differenza del passato, gli “altri” alla volontà politica possono affiancare il peso economico». Questo – nota la già menzionata riflessione dell’Ispi – è il senso dei grandi proclami emersi dal Summit Sco.
Inoltre, Tianjin ha mandato un messaggio chiaro di come Putin sia collocato sul piano internazionale. Il vertice, infatti, dove il leader russo era l’ospite d’onore, sembra avergli offerto un palcoscenico ideale, dal quale ha potuto difendere la decisione di invadere l’Ucraina su vasta scala all’inizio del 2022. La sua lettura è stata resa pubblica davanti a una platea mondiale e autorevole: il conflitto è «il risultato di un colpo di Stato a Kiev, sostenuto e provocato dall’Occidente», ha affermato, riferendosi alle sanguinose proteste di Euromaidan 2014, che avevano portato alla destituzione del presidente alleato del Cremlino, Viktor Yanukovych. Inoltre, Putin è tornato sulla questione dei «continui tentativi dell’Occidente di trascinare l’Ucraina nella Nato». Ma al di là delle sue affermazioni – per altro ben note dall’inizio del conflitto –, ciò che è parso evidente è come il leader russo sia tutt’altro che isolato sulla scena internazionale.
Un ultimo aspetto sul quale in Occidente si dovrebbe riflettere è l’avvicinamento Cina-India, giganti tradizionalmente rivali per la leadership asiatica (e ormai molto di più di quella). Le due grandi potenze asiatiche – anche per la popolazione che insieme assommano – si sono sempre fronteggiate con un senso di rivalità sia culturale che geo-politica e militare. La prima la si comprende: la civiltà indù-buddhista e quella confuciana sono i due pilastri culturali e sociali dei miliardi di uomini e donne che vivono in Asia. La seconda ha sempre creato preoccupazioni, fin da quando nei primi anni ’60 la Cina invase per 300 km l’India. I rapporti sono sempre stati a fasi alterne con principi di moderato riavvicinamento e prese di posizione per riaffermare la propria identità e ruolo nel continente. Oggi – e qui sta un potenziale grande errore di Trump e della sua politica dei dazi –, i due giganti sono vicini come non lo sono mai stati. Dopo decenni di dispute sul confine himalayano e controversie commerciali, la riunione Sco di Tianjin ha inviato inequivocabili segnali di disgelo fra Xi Jinping e Modi. Il leader cinese ha affermato che i legami con New Delhi potrebbero essere “stabili e di vasta portata” se entrambi si concentrassero sul considerarsi reciprocamente come partner anziché come rivali. Qualcuno ha notato che, nel corso del vertice Xi, Putin e Modi sono stati visti più volte chiacchierare, affiancati dai loro interpreti ufficiali. In effetti, coloro che sono abituati a viaggiare nel continente asiatico sanno bene come ormai il baricentro del mondo si sia spostato a Oriente e l’impatto economico, finanziario e geopolitico dell’Asia è sempre più evidente.
E qui, a conclusione, mi permetto di dissentire dal peraltro eccellente saggio di Schiavone che, in chiusura, riafferma che è solo dall’Occidente che devono venire le risposte all’attuale situazione mondiale. Non sono d’accordo che «unicamente l’Europa e l’America devono indicare la strada». Il messaggio che Tianjin invia verso Ovest è proprio questo: è necessario essere capaci di trovare un vero e reale ordine multipolare. L’occidente deve cominciare di nuovo a pensare, ma in questi termini.