Ho trovato la serenità e la pace

I frutti e gli effetti dei “sette aspetti” messi in pratica. L’incontro con la spiritualità dell’unità e la scoperta di un “gioco”. Alla ricerca di un’armonia sempre nuova.
Giovanni Marconcini
Sono un missionario della Consolata e attualmente svolgo il servizio di padre spirituale a Roma nel Pontificio Collegio Missionario Internazionale San Paolo Apostolo della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

 

Il primo contatto

 

Nel giugno 1964 a Torino ebbi il primo contatto con la spiritualità dell’unità, quando accompagnai un mio confratello a visitare alcuni suoi amici che, mi aveva detto, vivevano come consacrati nel mondo. L’impressione, ancora viva nella mia mente, fu la cordialità con la quale venni accolto e la semplicità e l’ordine che regnava nella loro casa. Sembrava che tutte le poche suppellettili fossero al posto giusto. Mi invitarono a un convegno che si sarebbe svolto in estate ad Ala di Stura (Torino). Vi andai, vidi tanta gente di ogni estrazione sociale e religiosi di diversi ordini, ed ebbi ancora la stessa impressione di serenità e di pace.

 

Poi persi i contatti. Ero appena stato ordinato sacerdote e fui destinato in un nostro seminario minore come vice-rettore. Le attività mi succhiarono come in un vortice.

Dopo tre anni inaspettatamente venni inviato nella nostra provincia spagnola. Questa destinazione mi disturbò, perché contraria a quanto mi era stato proposto alcuni giorni prima, e mi fece soffrire. Qualcuno allora mi propose, per superare lo stallo spirituale, di partecipare a una Mariapoli, un convegno estivo del Movimento dei Focolari.

 

Rimasi impressionato dal discorso di una signorina – seppi poi che si chiamava Renata[1] – sulla passione per la Chiesa, seguendo le orme di santa Caterina da Siena. Fui profondamente colpito dalle sue parole, forse perché mi sentii toccato nella mia identità missionaria. In quel momento capii che la spiritualità dell’unità mi avrebbe aiutato ad essere più missionario e decisi, una volta in Spagna, di rimanere in contatto con il Movimento.

 

Il fascino della sapienza che scaturiva da quella nuova spiritualità, mi fece venire il dubbio che forse io ero chiamato proprio per essa e che avrei dovuto lasciare la mia congregazione per unirmi a quei giovani entusiasti. I quali, invece, non avevano dubbi e spesso mi ripetevano: “Tu devi essere il tuo fondatore vivo oggi”. Capii che vivendo più profondamente la mia vocazione missionaria, come specifica volontà di Dio su di me, mi sarei sentito a casa anche in quella nuova spiritualità.

 

La scoperta dei carismi

 

Allora ripresi in mano gli scritti di G. Allamano, per essere quello che dovevo essere e, con mia sorpresa, li riscoprii nuovi e incandescenti, come se fossero tante gocce di acqua che cadevano su un braciere. Brillavano con una luminosità tutta particolare. Il mio essere missionario, e missionario della Consolata, mi calzava bene, come un vestito fatto su misura, ma allo stesso tempo, mi accorsi del braciere. Esso era la nuova spiritualità che avevo incontrato, la quale mi aveva fatto riscoprire come nuovo il mio fondatore.

 

Questa spiritualità partiva dalla scoperta di Dio come unico Ideale da abbracciare che diventava in me come un collante che unificava tutte le mie attività. Il mio fondatore ripeteva con forza la stessa cosa: “Solo Dio, solo Dio”. La spiritualità dell’unità mi faceva scoprire la preziosità del momento presente. Il mio fondatore mi ripeteva: “Hic et nunc, nunc coepi”,Qui e ora, ora inizio.

 

Vissi allora un periodo di luce, con un grande desiderio di leggere la vita dei santi, specialmente dei fondatori e fondatrici di ordini. Quanti carismi, quanti doni offerti dallo Spirito Santo alla Chiesa nel corso dei secoli. Ma non erano solo i libri a riproporre davanti ai miei occhi la bellezza della Chiesa. Essa risplendeva accanto a me, in tutti quei religiosi che vedevo negli incontri che di tanto in tanto il Movimento dei Focolari organizzava per loro.

 

Era lì che mi sentivo talmente parte di essa, da avere l’impressione che tutti quei carismi, seminati come tanti gioielli nel suo seno, appartenessero anche a me, fossero stati mandati alla Chiesa proprio per me. San Francesco, santa Teresa la Grande, santa Teresina e tanti altri santi erano tutti un dono per me.

 

Mi si mostravano a portata di mano, per spronarmi ad essere come loro. Nessuna delle loro spiritualità era estranea alla mia spiritualità missionaria, anzi la arricchivano, la rendevano più affascinante. Da questa prospettiva, mi parevano fuori luogo quelle frasi dette da alcuni religiosi, quasi a confermare l’esclusivo attaccamento al loro ordine o istituto: “A me basta la spiritualità del mio fondatore, non ho bisogno di altro”. Pur rispettando il loro punto di vita, io lo sentivo riduttivo e soprattutto dispersivo.

 

Essere amore

 

Dispersivo! Sì, perché invece piano piano, quasi senza rendermene conto, a contatto con altri religiosi e persone che aderivano alla spiritualità dell’unità, sentivo che tutto dentro di me si raccoglieva in unità. Anche la stessa spiritualità missionaria, che i miei formatori mi avevano inculcato negli anni di formazione, non era più il centro della mia vita, eppure si realizzava.

 

L’importante era amare, avere una profonda relazione con Dio amore, non tanto essere missionario, sacerdote, svolgere quella data attività, andare o no in territori considerati di missione. Era nell’“essere amore” che io riuscivo a vibrare all’unisono con il cuore di ogni essere umano. E, strano a dirsi, era proprio in quel punto profondo d’incontro con tutti che mi sentivo ancora di più missionario. Tutto poi si armonizzava e scaturiva da quel centro.

 

Gli “aspetti”

 

Fin dai primi incontri con i focolarini, quando tra le altre cose ammiravo l’ordine degli ambienti dove abitavano, mi dicevano: “La nostra vita è organizzata secondo sette aspetti”. Non capivo cosa volessero dire, ma intuivo che era qualcosa di bello e di sapiente. Lo compresi però più tardi.

In Gesù, l’amore invisibile del Padre si era reso visibile, aveva preso un corpo. Come quando la luce del sole, filtrando attraverso la pioggia, forma nel cielo l’arcobaleno o, passando attraverso un prisma, si rifrange in mille sfumature di colori, pur rimanendo sempre luce, così l’amore – Gesù, la luce vera – incarnandosi, ha “colorato” di amore tutte le espressioni della sua vita, da quelle più semplici a quelle apparentemente più importanti.

 

Questa intuizione di Chiara Lubich mi ha subito entusiasmato e mi ha fatto capire come l’unità, prima di essere l’espressione visibile della Chiesa, prima di essere un risultato ecumenico o interreligioso, dovevo raggiungerla dentro di me. Era l’amore. Era Gesù dentro di me. In essa, tutta la mia vita avrebbe avuto senso. Senza di essa, tutto sarebbe stato vano e dispersivo.

 

Mi ricordai quello che dice il Vangelo: “Chi non raccoglie con me, disperde” (Mt 12, 30). Lo vedevo logico. La mia vita doveva essere costruita sull’amore. L’essenziale era amare, tutto il resto, ogni espressione della mia vocazione missionaria, o era espressione di questo atteggiamento di fondo, o era pula che il vento disperde.

 

La soluzione di un gioco

 

Iniziai a vivere così un’avventura straordinaria, dove tutto ha valore: dal momento della sveglia, alla celebrazione della messa, alla colazione e così via. Tutti i momenti, da quelli più trascurabili, come il raccogliere un pezzetto di carta da terra, o quelli più noiosi, come l’aspettare un autobus, a quelli considerati più importanti, come un incontro con qualcuno o attendere a un lavoro di responsabilità, tutti diventano sacri, concrete espressioni d’amore per il prossimo, anche se assente, perché ad esso sono finalizzati.

 

A volte assaporo nell’anima un senso di pace e di gioia come un bambino, che ha trovato la soluzione di un gioco. La vita cristiana si riduceva a questo: che tutto ruoti attorno al perno dell’unità, avvertita dentro di me.

Siccome però la luce dell’amore illumina con diverse sfumature di colore tutti gli aspetti della mia giornata, ho capito quanto fosse importante che essi fossero in armonia. Chiara aveva intuito che l’amore si esprime in sette aspetti principali. Per essere io quella luce, tutti gli aspetti dovevano esse presenti. Se un aspetto avesse dominato sugli altri, intuivo che esso non sarebbe stato più un’espressione dell’amore.

 

È stato logico allora trovare il posto per tutti gli aspetti nell’arco della mia giornata: il lavoro, la testimonianza cristiana, la preghiera e la vita spirituale, lo sport con il riposo e la cura della salute, l’ordine dell’ambiente in cui vivevo, lo studio con l’aggiornamento e, infine, la cura delle relazioni con tutti i vicini e gli assenti.

È ormai una convinzione e un’esperienza di tanti anni. Pur con mille imperfezioni – che scopro nuove ogni giorno – sento che questa vita mi dona equilibrio, armonia, tempera le mie gioie e lenisce le mie sofferenze.

 

In varie circostanze, mi son trovato a contatto con i giovani, per esempio in Spagna o in Kenya o negli Stati Uniti. Li ho visti sempre entusiasti, quando avevo l’opportunità di spiegare loro la vita secondo questi sette aspetti armonizzati dall’amore. Era come se una luce si accendesse nel loro cuore e capivano subito come ordinare la loro vita.

 

In Kenya per diversi anni ho avuto modo di insegnare Storia della Filosofia. Per tre anni accademici mi chiesero di insegnare anche Estetica. Mi preparai a svolgere la materia con entusiasmo. Mi ricordo che, spiegando i criteri oggettivi e quelli soggettivi per definire una cosa “bella”, mi vennero in mente questi aspetti, ma sarebbe troppo lungo spiegarne il come.

 

Un equilibrio sempre nuovo

 

Da più di quindici anni mi trovo a Roma. Dodici li ho spesi in istituzioni accademiche della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Non mi sono mai sentito un missionario fallito. Anzi mi sento più missionario che mai, e missionario della Consolata, perché inserito nel cuore della Chiesa missionaria.

 

Vi racconto una breve esperienza. Erano ormai vari giorni che, per la stanchezza dal lavoro (ero segretario generale della Pontificia Università Urbaniana) trascuravo le preghiere comuni con la mia comunità. Preferivo restare solo in camera. Mi accorsi però che qualcosa non andava e che la mia vita spirituale si raffreddava.

Un giorno corsi ai ripari e mi ripromisi di partecipare alla preghiera comune. Quel giorno era giovedì e c’era l’adorazione eucaristica. Nel silenzio, davanti a Gesù Eucaristia, intuii lo sbaglio in cui ero incorso. E in maniera assolutamente nuova, capii la saggezza del mio fondatore, Allamano, che aveva voluto scandire la nostra vita quotidiana con un ritmo fatto di preghiera, studio, ricreazione, riposo, ecc. Da quell’esperienza nacque poi una riflessione che ebbi occasione di condividere con diverse comunità religiose, intitolata “Ritrovare l’equilibrio”. Soprattutto crebbe in me la gratitudine a Dio per avermi voluto nei Missionari della Consolata.

 

Un arcobaleno di carismi

 

A contatto con gli altri religiosi che condividono la spiritualità dell’unità, riscopro la stessa Chiesa sempre più bella, rivestita di tutti i carismi che i nostri fondatori e fondatrici le hanno lasciato in eredità.

Vi sono, infatti, carismi che mettono in evidenza la preghiera, altri l’annuncio evangelico, altri le opere di misericordia, altri ancora lo studio e l’insegnamento, e altri la comunicazione.

 

Tutti questi carismi, come doni di luce provenienti dall’unico Spirito, compongono sulla terra un magnifico arcobaleno, quasi a confermare e a testimoniare, che, con la collaborazione di tutti si può trasformare la nostra travagliata famiglia umana in una nuova famiglia che somigli sempre di più a quella del cielo: “Come in cielo così in terra” (Mt 6, 10).

 



[1] Renata Borlone (1930-1990), serva di Dio. Nasce il 30 maggio ad Aurelia, vicino Roma. A 19 anni conosce Chiara Lubich. Dal 1967 è corresponsabile di Loppiano (Incisa Valdarno, Firenze), cittadella internazionale del Movimento dei Focolari. Muore il 27 febbraio. È sepolta nel Santuario di Maria Theotokos a Loppiano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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