Harry Potter e i doni della morte

Arriva nei cinema l'ultima puntata del mago di Hogwarts ed è già campione di incassi. Non mancano scene orrorifiche, più per adulti che per ragazzi
harry potter

In due giorni è già campione di incassi. Prevedibile, perché la saga che da dieci anni ci segue con le avventure del “maghetto” e dei suoi amici è diventata un fenomeno globale.

 

Ne hanno parlato tutti, anche teologi e filosofi, cercandone significati misteriosi e nascosti. La seconda parte della conclusione però è di una chiarezza disarmante: il bene vince sul male e i tre amici, diventati grandi e sposati, manderanno i loro figli alla scuola di magia (per cui è da sperare, per i fan, in un lungo sequel…).

 

Nell’ultima puntata non mancano le sequenze spettacolari, orrorifiche: Harry Potter, già da tre puntate, non è più un film per bambini e ragazzi, ma per adulti. Il contrasto fra il male, personificato da lord Voldemort, e il bene, cioè Harry, si fa pressante, sfociando in una lotta finale e in un gigantesco assedio al castello degli studenti di magia che ricorda, con chiare allusioni, i massacri del Terzo Reich e la guerra in Iraq.

 

Voldemort infatti è il male di sempre, che si reincarna in tutto ciò che è morte e distruzione, nel passato come nel presente. Ed Harry? In lui è presente una parte dell’animo di Voldemort, cioè quell’inclinazione al male che c’è in ogni uomo, contro cui il giovane deve lottare duramente per estrarla da sé stesso e vincere. Sintomatico il momento in cui distruggerà la bacchetta nodosa che gli dà potere su tutto. Harry non è Dio né si può sostituire a lui: diventerebbe un Lucifero, cioè un altro Voldemort, strumento di morte.

 

Su questa trama di significati si innesta il racconto conclusivo, in cui tutti i personaggi della saga arrivano alla resa dei conti ed il “maghetto” scopre le fila della sua storia personale, finora rivelate solo a tratti: in fondo egli è il prodotto dell’amore dei suoi genitori, che sono morti per lui, logico perciò che anch’egli finisca per formarsi, come i suoi amici, una famiglia…

Parrebbe un finale quasi edificante. Certo, è sincero e rassicurante.

 

Ma Harry Potter rimane soprattutto un film sulla potenza della magia, sulle possibilità delle forze oscure di vincere il bene, con spunti apocalittici che tanto piacciono al nostro tempo che vive sotto l’incubo della morte (si veda il filone catastrofico onnipresente nel cinema americano).

 

Nato come opera di fantasia pura – nella miglior tradizione britannica –, di educazione alla scoperta della vita, il serial si è gradualmente trasformato in un racconto che evoca gli struggimenti della nostra epoca, miscelando con grande abilità un insieme di elementi favolistici, pedagogici, moraleggianti e mostruosi, ma restando quello per cui ha un successo globale: un viaggio della fantasia verso un mondo magico dove l’uomo è finalmente libero.

 

Non è una novità. Ma la bravura degli attori, l’abilità scenografica, le suggestioni sonore, i riferimenti psicologici, l’intreccio narrativo, risultano seducenti e danno all’operazione il crisma dell’attualità. Tanto più che la potenza del 3 d crea, anzi aumenta, l’aura di suggestione di questa colossale favola degli anni duemila.

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