Hans Küng, l’arte del margine

È morto uno dei più noti teologi del mondo cattolico. Dopo una fragorosa rottura con la gerarchia cattolica, riprese il dialogo con vescovi e pontefici
kung Küng

La notizia era nell’aria da qualche tempo: si sapeva che era malato e che faticava ad andare avanti nella sua battaglia contro il morbo di Parkinson. Ma comunque la morte del teologo svizzero Hans Küng (1928-2021) arrivata il 6 aprile scorso, ha fatto colare lacrime sincere non solo a tanti teologi e a tanti vescovi della cattolicità e della cristianità, ma anche a tanti esponenti di quel variegato mondo laico che gira attorno alla religione e ai suoi molteplici dialoghi, quello ecumenico, quello interreligioso, quello tra credenti e non credenti. Perché Hans Küng aveva saputo farsi conoscere così come farsi rispettare, dando sempre grande importanza all’amicizia personale.

Küng è balzato agli onori della cronaca quando si oppose alla gerarchia cattolica, in particolare al potente Sant’Uffizio diventato Congregazione per la dottrina della fede, prendendo posizioni talvolta avverse a quelle ufficiali in materia di infallibilità papale e di scelte etiche fondamentali. Era stato un enfant prodige, nel senso che era stato nominato professore di teologia a Tubinga, dopo un dottorato all’Insitut Catholique di Parigi, a soli 32 anni. E aveva partecipato al Concilio Vaticano II in qualità di esperto, su nomina di Giovanni XXIII. Fu lì che conobbe Joseph Ratzinger, consigliere dell’arcivescovo di Colonia, che fu poi assunto come professore proprio a Tubinga, dove rimase fino al 1969 quando, colpito dalle forti manifestazioni studentesche del 1968, preferì spostarsi nella più tranquilla Ratisbona.

Da sempre Hans Küng si era interessato all’ecumenismo e all’ecclesiologia, intesa come scienza teologica della «Chiesa non solo cattolica», per poi spostarsi verso tematiche più sensibili, quali l’infallibilità papale. Il suo testo del 1970, Infallibile? Una domanda, prendeva posizione contro il dogma dell’infallibilità, e ciò gli valse l’interessamento un po’ tardivo della Congregazione per la dottrina della fede, 5 anni più tardi. Nel 1979 ecco la revoca dell’autorizzazione all’insegnamento della teologia cattolica, ma senza togliergli la pratica del sacerdozio.

Le difficoltà si accentuarono allorché fu l’insieme della dottrina emanata dal pontificato di Giovanni Paolo II che venne da lui messa in discussione, facendolo arrivare a paragonare la Congregazione per la dottrina della fede ai tribunali che in epoca staliniana eliminavano i dissidenti. Poco alla volta si è spostato verso quella teologia delle religioni che aveva studiato a Parigi. In pensione dal 1996, Küng ha impegnato le sue energie intellettuali per affermare un’etica che accomunerebbe le diverse fedi. In materia bioetica, ad esempio, ha aperto la porta all’ammissibilità di certe forme di eutanasia.

Nel 1993 ha creato una Fondazione la Weltethos, che vuol dire “etica mondiale”, per lavorare nel tracciare un codice di regole di comportamento universalmente condivise. Ha così preparato, ad esempio, il documento Per un’etica mondiale: una dichiarazione iniziale che è stato sottoscritto nel 1993 dal Council for a Parliament of the World’s Religions, Consiglio per un parlamento delle religioni del mondo, a Chicago. L’ultimo guizzo antiromano di Küng è stata la feroce critica della dichiarazione Dominus Iesus sull’unicità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, un documento firmato da Ratzinger allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede.

Ma, da quel momento, Hans Küng ha iniziato un processo di riavvicinamento alle autorità ecclesiastiche cattoliche, quasi che la sua posizione intransigente, anche per l’arrivo sulla Cattedra di Pietro di un papa non eurocentrico come Bergoglio, fosse diventata desueta. Nostalgia? Desiderio di riconciliazione? Certamente erano sentimenti presenti nel suo cuore. Ricordo di aver conversato con lui durante una cena in un congresso interreligioso che si era tenuto nel 1999 ad Amman. Affabile, acuto, critico, spietato a volte, ma nel contempo servizievole, mi aveva colpito perché oltremodo attento ai moti d’animo altrui; era desideroso di conciliazione tra posizioni spesso opposte, come dimostrò anche la ricerca di un’etica con principi comuni tra le religioni.

Hans Küng amava il margine, amava superare i margini, aveva coltivato una vera e propria “arte del margine”. In questo egli, critico feroce di certe forme del culto mariano, era inconsciamente una personalità “mariana”, nel senso che desiderava ardentemente che tutti partecipassero alla “cattolicità” del cristianesimo, senza esclusioni di sorta, superando il margine, luogo mariano per eccellenza, come affermava anche Hans Urs von Balthasar, che certo non era un suo “amico teologo”.

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