Hanno ammazzato Peter Pan

Scomparsa, il 25 giugno, la popstar americana. Finisce un'epoca. Cresce un mito.

Lo sapevamo tutti che era morto da tempo. Sapevamo che il suo sconfinato talento da anni era finito nel tritacarne (e anima) dello star-system. Sapevamo che la tanto strombazzata imminente rentrée sarebbe stata, nella migliore delle ipotesi, solo la tristissima certificazione di un tramonto.

 

Come spesso capita in questo ambiente, l’inizio della fine è coinciso con l’apogeo della sua carriera, quel Thriller, tutt’ora l’album più venduto nella storia della musica: un album così perfetto da rendere impossibile qualunque replica. Era il 1982 e quelle canzoni sintetizzavano meglio di qualunque analisi sociologica l’essenza stessa di quegli anni “di panna”, dell’edonismo reaganiano, dello strapotere della forma su qualunque sostanza o contenuto.

Da allora la parabola discendente non s’è più arrestata. Dapprima quasi impercettibile, poi sempre più evidente, anche per i suoi stessi fan. Un precipitare da Icaro… E man mano che quello sterminato talento svaporava o s’attorcigliava su sé stesso, più emergevano le nevrosi, le umanissime miserie e le fobie di un personaggio incapace di accettarsi, e più ancora, impossibilitato a dare alla propria vita un’esistenza autonoma dal proprio mito. Sono anche quei 750 milioni di copie vendute e il conseguente successo planetario ad aver trasformato l’enfant-prodige della black-music in un’asettica icona extratemporale, un grande artista in una macchietta sempre più patetica: un Peter Pan (la metafora più gettonata dalle agiografie post-mortem) sempre più arroccato nei suoi deliri, barricato o recluso nella sua Disneyland privata, perennemente in preda alle sue ipocondrie, alle sue eccentricità, e alle sue variegate perversioni.

Il resto è storia recente e fin troppo nota: i processi per pedofilia, la bancarotta e l’affannosa ricerca di un proprio posto nei luna-park del pop del terzo millennio in fondo non sono che i corollari della più clamorosa e “sintomatica” real-fiction del nostro tempo.

 

Come accade a quasi tutti i miti del pop moderno, da Marilyn ad Elvis, il paradosso è che Jacko entrerà tra le voci imprescindibili dello star-system più per la tragicità della sua vicenda umana che per il suo pur sterminato talento. Una favola già tragica ben prima del suo epilogo, così tragica che credo che perfino il più oscuro dei travet non si sia mai sognato di scambiare il grigiore della propria esistenza coi lustrini della sua. Certo, anche i media hanno avuto la loro parte nel raccontarcela in un modo sempre più spietato e pruriginoso, ma anche questo fa parte del ruolo che la popstar s’è ritrovato a dover (o voler, o poter…) giocare. Ecco perché, al di là dei referti, il suo m’è sembrato una specie d’omicidio consenziente o di suicidio inconscio: un disperato e troppo pericoloso amplesso tra talento e fama, tra ego e logo, la cui estremizzazione difficilmente avrebbe potuto condurre ad un epilogo diverso. Jacko era troppo di tutto: troppo talentuoso per trovare altri sfidanti oltre a sé stesso, troppo mitico per restare umano, troppo debole per uscirne vivo.

 

JACKO: DISCOGRAFIA ESSENZIALE

 

OFF THE WALL (1979) Chiusa la storia con i Jackson Five, un debutto solista che già conteneva gli ingredienti-base del suo stile e del suo fascino.

 

THRILLER (1982) Oltre cento milioni di copie vendute per un capolavoro di pop interazziale che ha fatto scuola e segnato un’epoca. Un’opera fondamentale anche dal punto di vista visivo: i video clip e le movenze del suo celeberrimo moonwalk, suggellano l’era aurea della video-music.

 

BAD (1987) La lussuosa produzione di Quincy Jones a confermare un sodalizio perfetto, ulteriormente rafforzato, due anni prima, dall’exploit di We are the world.

 

DANGEROUS (1991) Ancora un album di straordinaria perfezione formale, ma già contenente i segni di un progressivo inaridimento creativo.

 

INVINCIBLE (2001) 45 milioni di budget (il più alto della storia) per un disco destinato a restare a tutt’oggi l’ultimo album di inediti. Anche se Michael era già l’ombra di sé stesso, vendette oltre 10 milioni di copie.

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