Haiti, solidarietà e giustizia

Un impegno dalla tragedia.
Haiti

L’immane catastrofe di Haiti ci interpella, ognuno e tutti insieme, come comunità globalizzata. Impressiona l’ondata di generosità sorta in seguito alle notizie in arrivo da Port-au-Prince e alle immagini dell’apocalisse haitiana: una serie di icone impolverate e sanguinanti, ma spesso, nonostante tutto, attraversate dal lampo della speranza. Per tutte, quella della donna che, estratta dalle macerie dopo quasi quattro giorni, s’è messa a pregare cantando. Ringraziando Dio.

L’apocalisse non è finita e non finirà tanto presto. L’insensatezza della sguaiata umanità dei reality (senza passato e senza futuro!) sta in un’altra icona, questa volta kitsch e ributtante, lasciatemelo dire: quella dei turisti che dal transatlantico di lusso scendono a terra per osservare da vicino il dramma, raccattando un souvenir del terremoto e mettendo una moneta nel palmo della mano d’un bambino, tanto per tacitare la coscienza…

«Non ragioniam di lor, ma guarda e passa», ci ricorda il poeta. Ragioniamo allora della durata della nostra solidarietà. Oggi siamo sotto l’effetto dell’emozione per la tragedia, ma già domani – come vuole la legge del circo mediatico che consuma ogni tragedia come fosse una boccata di sigaretta – i riflettori si spegneranno. E passeremo ad altro.

Ma Haiti è la coscienza sporca dell’Occidente (Obama forse più di altri l’ha capito), è il simbolo della rivolta contro il colonialismo, è la sconfitta della convivenza pacifica tra popoli ricchi e poveri, è il simbolo della miseria che s’annida a due passi dall’opulenza. Non possiamo uscire sconfitti ancora una volta dall’isola, soprattutto noi europei che però, ancora una volta, avanziamo in ordine sparso. Chissà che non vi sia un rinsavimento, e che non si cominci a parlare e lavorare di concerto, magari anche con Usa e Cina. Per Haiti, per una globalizzazione finalmente positiva, non per una guerra qualsiasi.

Non dimenticare Haiti è un atto di giustizia, non solo di solidarietà.

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