A che punto siamo con la guerra ? Sul terreno, la guerra russa 2.0 sta portando, almeno apparentemente, i suoi frutti: la supremazia dell’esercito di Mosca in quanto a massa di soldati e di armi introdotte, al di là della data di produzione, sta prendendo piede, in particolare nel territorio di Lugansk. Niente più avventure in terreno aperto, come nella prima avanzata verso Kiev, ma il terreno viene ora guadagnato metro dopo metro, con la garanzia di avere le spalle ben coperte da territori che, sin dal 2014, sono in mano a milizie filorusse, ovvero asservite al Grande Fratello moscovita.
C’è poi da considerare il fatto che le truppe ucraine sono più limitate in numero rispetto a quelle russe, e dunque stanno subendo l’inevitabile effetto della stanchezza dopo quasi tre mesi di guerra. Di questo passo, l’esercito di Mosca avrà il pieno controllo dei territori di Donetsk e di Lugansk, cioè del Donbass nella sua interezza. Per invertire il corso degli eventi, dovrebbe intervenire qualcosa di nuovo: massicci arrivi di artiglierie dall’Occidente; qualche improvvisa interruzione negli approvvigionamenti dell’armata russa; qualche fattore inatteso, magari nuovi danni arrecati alla marina russa di stanza nel Mar Nero e nel Mar d’Azov.
Si accontenterà Putin del Donbass (e della Crimea?). Nulla di più incerto, sia perché l’appetito vien mangiando, sia perché sarebbe una magra vittoria quella di due o tre città in più di quanto era già stato incamerato, nei fatti, nel 2014, all’indomani dell’avventura della Maidan e della destituzione del presidente filorusso.
Va tuttavia registrato il fatto positivo che gli europei hanno ripreso a parlare con Mosca – vedi le ultime telefonate di Draghi e di altri leader europei con l’occupante del Cremlino −, ma nei fatti i due contendenti concordano nell’affermare che non esistono spiragli visibili per una pace duratura. Si discute ora di grano, perché la fame minaccia un certo numero di Paesi tra i più poveri al mondo, con i prezzi della farina che fanno a gara nel risalire e toccare nuovi record. Si sbloccano e si sminano i porti attorno a Mariupol, ma non ancora quelli in mano a Kiev. Di negoziati diretti tra i contendenti non se ne parla più, il fossato è profondo, ogni giorno di più.
La prospettiva forse più probabile che si apre ora – anche se far previsioni è impresa ad alto rischio − è quella di un cessate il fuoco di fatto, una volta che sarà completata la conquista russa del Donbass, con la progressiva russificazione della popolazione (in realtà già cominciata da tempo) dei due territori di Donetsk e Lugansk, in attesa di fatti nuovi, con uno stop dettato più dalla stanchezza delle truppe di entrambe le parti che da una reale volontà di pace.
Se le truppe di Kiev non inizieranno a breve una qualche riconquista di territori nel Donbass, come già è avvenuto nella fascia tra Kiev e la frontiera, riconquista oggi peraltro improbabile, questa sarà la prospettiva più probabile e plausibile degli eventi. Con il rischio di prolungare di un’altra decina d’anni lo stato di tensione nella regione, e con la possibilità che gli scontri riprendano da un momento all’altro, non appena si penserà di avere raggiunto una supremazia di risorse e di armi sull’avversario. Mentre continuerà il feuilleton delle sanzioni occidentale imposte alla Russia, con il tiramolla sul gas, e mentre l’Europa cercherà comunque di fare a meno delle risorse energetiche russe, aprendo così ulteriori motivi di conflittualità.
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