Grandi problemi, piccoli uomini

Al riparo di imponenti montagne, protetti da migliaia di agenti speciali e dai più sofisticati accorgimenti che la tecnologia oggi fornisce, otto piccoli uomini, in rappresentanza di otto grandi paesi, hanno rivissuto, nel cuore delle Montagne Rocciose canadesi, il rito di un appuntamento ricorrente, per discutere dei massimi problemi mondiali. I “No-global”, che nelle ultime edizioni gli avevano guastato la festa, erano stati tenuti lontani. E poi, ormai, anche chi protesta e vuole farsi sentire ha imparato che non conviene eccedere nelle escandescenze. Alla distanza risultano meglio paganti le buone ragioni offerte con pacatezza che non gli schiamazzi e le distruzioni vandaliche. Hanno dunque manifestato compostamente nella vicina Calgary. Anche alla stampa è stato riservato un accesso limitato, sicché il “tutto bene” o il “tutto male” in cui si potevano condensare molti titoli del giorno dopo, rispecchiavano piuttosto le precomprensioni che dei temi trattati hanno i diversi schieramenti di appartenenza politica. Eppure, qualcosa di concreto s’è visto e se ne può parlare.A cominciare dal fatto positivo dell’inserimento a pieno titolo della Russia, che si aggiunge così ai sette paesi più industrializzati (Canada, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti). Cè anche Kofi Annan e, per la prima volta, sono presenti cinque leader di paesi africani. Ma ancora restano grandi assenti, come Cina e India, cui, si può pensare, presto dovrà essere riservata una sedia. Questa volta si sarebbe dovuto parlare soprattutto dell’Africa e dei suoi gravissimi problemi economici, alimentari e sanitari. Lo si è fatto solo marginalmente, purtroppo, perché altre emergenze, evidenziate dagli Stati Uniti, sono parse prioritarie. E cioè la lotta al terrorismo, che richiede progetti organici comuni legati alla sicurezza e che è connessa con la crisi mediorientale, cui il piano di Bush per la soluzione del problema palestinese ha impresso una svolta. Parlarne è stato certamente importante, perché quel piano, pur apparendo a molti punitivo per i palestinesi e per Arafat, cui viene sostanzialmente chiesto di mettersi da parte, introduce dei punti fermi di discussione. È chiaro che l’atteggiamento degli europei è meno favorevole a Israele, ma si cominciano a delineare delle convergenze che dovrebbero eliminare alcuni equivoci. Se per questa strada si arrivasse davvero a un nuovo tavolo di pace, non si potrebbe accusare questo G8 di essere stato inutile. Resta comunque aperto e non risolto il problema dell’Africa, per le cui immani necessità il piano d’azione approvato appare inadeguato. I soli ad apparire soddisfatti sembrano gli Otto. Per il presidente francese Chirac si sarebbe finalmente verificato il passaggio dalla cultura dell’assistenza a quella del partenariato basato sul principio, giusto in sé, ma sempre male applicato, “aiutiamo l’Africa perché si aiuti da sé”. Avendo collegato gli aiuti allo sviluppo della democrazia e alla lotta alla corruzione, l’assunto dovrebbe essere garantito. Facciamo voti. Non tutti sono così speranzosi. Come già alla vigilia del G8 di Genova, anche questa volta si è riunito un forum alternativo composto da oltre 50 associazioni cattoliche che hanno dato vita ad un cartello per lanciare un appello e dire ai “Grandi della Terra”: “I poveri non possono più aspettare! “.Tra le associazioni che hanno aderito al “cartello” ci sono le Acli, l’Azione cattolica, il Movimento dei focolari, i Volontari nel mondo-Focsiv, l’Agesci. Nell’appello hanno formulato alcune richieste molto precise: “isolare a livello politico e commerciale i paradisi fiscali e finanziari”; “rafforzare gli impegni nella lotta all’Aids ” e “destinare all’aiuto allo sviluppo lo 0,7 per cento del Pil”. Per dar voce a queste richieste, le associazioni hanno messo in cantiere una serie di azioni ed iniziative: i giovani che parteciperanno alla Gmg di Toronto, ma anche altri gruppi, invieranno delle “cartoline virtuali” al governo italiano e alle ambasciate in Italia degli altri paesi membri del G8, con una copia dell’appello diffuso a Roma. Per terminare, nel mese di settembre, con una grande manifestazione pubblica a Firenze. Piccoli uomini, quelli che si credono grandi, come quelli che sanno di non esserlo, alle prese con grandi problemi, grandi per davvero, oggi, come ieri, come forse ancora domani. In ritardo sulle attese, ma un poco meno distanti da quella convergenza di intenti che renderebbe le soluzioni tanto più facili. Se davvero si capisse che la strada maestra è questa.

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