Grande Arena

Una magnifica Bohème è stata un regalo dell’83ª stagione. Daniel Oren cava dall’orchestra entusiasmo e intimismo, portando ancora alla commozione in questa minimalistica storia di giovani, con un cast egregio. Marcelo Alvarez è forse il miglior tenore lirico del momento, perfetto in una voce slanciata e pura, che con Fiorenza Cedolins – bella e brava in scena ed in voce, crescendo di atto in atto – ha donato nel finale atto primo un pianissimo lirico di gran poesia, per non parlare di Carlo Colombara, Fabio Previati, Marius Kwicien, i bohémiens allegri e malinconici al punto giusto. Musicalmente era una gioia: Oren, ruggente, appassionava tutti credendo alla storia d’amore. Alcuni hanno criticato l’allestimento candido, simbolico, la regia (di Arnaud Bernard) creativa, le masse di ciclisti, donnine, circensi e così via che avrebbero offuscato la situazione: a me invece è piaciuto, così fantasioso, non ha disturbato i timbri e le delicatezze pucciniane. Nella Gioconda Pierluigi Pizzi si è risparmiato tessendo grigi e rossi su un fondo laminato semicircolare: un senso di opaca infelicità serpeggia nei versi pesanti di Boito, da cui Ponchielli inventa la sua Venezia a fosche tinte che Pizzi trasporta in un decadente fine Settecento. Se la direzione morbida di Donato Renzetti riusciva a legare orchestra e coro con piglio amorevole, il cast presentava Andrea Gruber, fenomeno vocalescenico, la valida cieca di Elisabetta Fiorillo, l’eccessivo Enzo di Marco Berti, il duro Barnaba (Alberto Mastromarino) e l’Alvsie di Marco Spotti, nobile in voce e in scena, il cui legato robusto e dolce lo rende vera voce verdiana. Regia non troppo fantasiosa, coreografia interessante, con Guillaume Coté, Somita Luypu. E il pubblico? Contento per Gioconda, in delirio per Bohème. ROMA, TERME DI CARACALLA AIDA SOLARE Fa un gran effetto, nella notte lunare tra le rovine, veder proiettati sui ruderi i geroglifici e su uno schermo semovente affreschi egizi e un gran sole abbagliante. È l’invenzione suggestiva di questa Aida estiva grazie a Paolo Miccichè, insieme ai costumi sfavillanti di Alberto Spiazzi: una gioia per gli occhi. Anche nel balletto del trionfo meno selvaggio del solito, più indicativo che espressivo, rispettoso della complessità sentimentale del grandopèra verdiano. Perché Aida è intima storia d’amore e gelosia dentro un conflitto politico-religioso- etnico: elementi in sottile equilibrio fra loro. Musicalmente la versione romana portava a dei dubbi: Placido Domingo è grandissimo tenore, ma con la bacchetta sembra esser solo corretto; ancor valido Juan Pons, Amonasro virile, mentre Isabelle Kabatu (Aida) e Mario Malagini (Radames) non eccellevano in delicatezze… Buona la prova di un’orchestra ormai esperta, pubblico soddisfatto per lo spettacolo innovativo.

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