Gli eroi del Kerala

Sono i pescatori, persone semplici che con le loro barche e in squadre di 5 o 6 hanno portato in salvo decine di migliaia di persone, rischiando la vita. La generosità di tutto il paese

In questi giorni abbiamo parlato delle alluvioni causate dai monsoni nello stato indiano del Kerala. Ero stato in contatto costante con una amica, Malayala (come vengono chiamati gli abitanti del Kerala e la loro lingua). Non abita nello stato colpito dalla tragedia, ma da quando si è sposata vive a Bangalore dove molti malayalam vivono e da dove in questi giorni hanno seguito con ansia crescente quando accadeva alle loro famiglie, ai loro villaggi. Spesso, mi diceva Sridevi (questo è il nome dell’amica) seguivano in diretta il livello dell’acqua che cresceva, i parenti che dovevano salire al piano di sopra, fino a doversi rifugiare sui tetti. I più fortunati, ovviamente!

Oggi, mentre la vita, lentamente e con grandi sofferenze sta tornando ad una parvenza di normalità, ho ricevuto questo lungo messaggio da Sridevi. Mi piace che si possa leggerlo perché ci dà una lettura in diretta di quanto è accaduto e sta ora accadendo. È anche un modo di affrontare tragedia, problemi – ne abbiamo tutti a qualsiasi latitudine – e trovare la speranza ed il coraggio di ricominciare, come mi dice: insieme!

 

«Una tragedia che è divenuta una possibilità di ricominciare insieme! Nel 1924, la pioggia caduta in Kerala, durante la stagione monsonica tra giugno e settembre, era stata, sembra, di 3000mm. In questi giorni, dopo un secolo si ripete la stessa cosa. Questa volta c’è anche il fatto che quasi tutte le dighe, costruite nei decenni scorsi, si sono riempite fino a raggiungere quasi il livello massimo di capacità. Onestamente vedendo le piogge e seguendo i telegiornali mi ero chiesta – seduta nel mio salotto al sicuro lontana dal pericolo – “Cosa aspettano ad aprire le dighe prima che sia troppo tardi e si verifichi una tragedia?” Ma non è questo il momento di puntare il dito, o di cercare i colpevoli. Anche se si dovrà fare. Speriamo che abbiamo imparato qualcosa per il futuro.

Ma, al di là di tutto, è successo qualcosa di molto più importante. Per l’ennesima volta, come malayalam e indiani, abbiamo dimostrato che la gente andando al di là delle caste e delle religioni, della ricchezza e della povertà, può scendere in campo per aiutare, nei modi più incredibili, coloro che avevano bisogno di essere soccorsi, portati nelle scuole o altri luoghi adibiti a campo di soccorso, per accogliere i profughi nei campi allestiti per questo e per smistare tutto ciò che è arrivato da ogni dove via furgoni, navi, aerei militari, elicotteri.

Tanti hanno messo a disposizione talenti, tempo, denaro, vita. Accanto alla Marina Militare, all’Aviazione, all’Esercito e alla Polizia sono scesi in campo i veri nostri super eroi. Si tratta dei nostri pescatori del Kerala, persone semplici, che con le loro barche e in squadre di 5 o 6 diretti da persone locali hanno portato decine di migliaia di persone nei campi di soccorso. Hanno letteralmente rischiato la vita. E moltissimi altri, giovani uomini e donne, si sono spesi pronti a dare la vita. Alla fine il conto delle persone nei campi di soccorso è salito fino a superare il milione. Il lavoro senza tregua di migliaia di persone ha permesso che arrivasse cibo e acqua a questi nei campi e a coloro che sono rimasti bloccati nelle case che avevano più di uno o due piani.

Milioni di persone sono rimaste con quell’unico vestito che avevano addosso. La generosità di tutto il Paese (e da fuori come dagli Emirati Arabi dove lavorano decine di migliaia di Malayalis) è venuta in evidenza dal primo giorno dell’alluvione, continua e continuerà in forma di viveri, vestiario e tutte le cose di prima necessità.

I negozi e i magazzini che si trovano sulla strada – come normalmente avviene in India – hanno perso tutto. Questa avrebbe dovuto essere per noi del Kerala una delle stagioni dell’anno più belle e felici. È infatti il momento in cui, senza nessuna diversità di casta o religione, festeggiamo insieme Onam, il festival del raccolto, che questa volta ha portato via, invece, molte vite umane. È ora cominciato il tempo della ripresa, del pulire le case (per coloro che ce l’hanno ancora) dal fango.

Ma, soprattutto, questa tragedia ci sta aiutando a purificare il cuore e l’anima: ci ha uniti tutti i malayalis che vivono in Kerala e il 12 per cento che vive nel mondo. E, inoltre, ci ha fatto sentire la vicinanza del mondo. Ora sta a noi rimettere in piedi questo piccolo stato del sud dell’India, allungando la mano e il cuore l’uno verso l’altro, con immensa gratitudine a tutti.

All’alba, oggi, mio marito, sua sorella, i nostri due figli più grandi sono partiti verso la nostra casa natale dove la mamma 87enne, 2 figli, la moglie e figlia di uno di loro sono rimasti bloccati, in quello che un tempo era usato come granaio sopra la casa. Sono rimasti lassù per quattro giorni, ma sono tutti vivi. Ora è arrivato il tempo per la pulizia, per la ripotabilizzazione dell’acqua del pozzo, per buttare quanto non può essere più usato e… ricominciare la vita. Insieme!».

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