Gli arazzi di Raffaello nella Sistina

Solo fino al 23 febbraio tornano nella Cappella i capolavori del Genio

Lui, Raffaello, non li ha mai visti tutti e dieci appesi alle pareti della Sistina dove li aveva voluti Leone X per completare, con le vicende di Pietro Paolo e Stefano, la “storia sacra” dipinta sulla volta (la Genesi di Michelangelo) e sulle pareti (Mosè e Cristo, dei maestri del ‘400) nella cappella papale.

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L’artista vide solo i primi sette, esposti solennemente durante la messa di Santo Stefano, il 26 dicembre 1519, ma mancavano gli ultimi tre, arrivati nel 1521, quando il maestro era già scomparso l’anno prima.
L’impressione, a vederli ieri mattina, è stata enorme. La Sistina è apparsa nuova, ossia completa. E l’idea di papa Medici, così sensibile all’armonia, di ordinare nel 1515 a Raffaello i cartoni da venire poi tessuti a Bruxelles, per dare unità al ciclo decorativo- teologico del luogo sacro, si è rivelata vincente.

Lo stile dell’artista infatti riassume ed assorbe la precedente decorazione, inventando una storia sacra di sconvolgente bellezza, di forme ampie, di dramma religioso, di poesia lirica. Si avverte che tutto si richiama con tutto, i colori chiari di Raffaello con quelli dei pittori quattrocentisti sulle pareti e quelli surreali di Michelangelo nella volta.

Raffaello e papa Leone celebrano la bellezza come espressione che porta della fede, come rivelazione luminosa della verità cristiana lungo i secoli, nella storia divina ed umana intrecciate. I cartoni disegnati da Raffaello e dalla sua équipe e ora a Londra sono un miracolo, struggenti quasi, così come la loro realizzazione negli arazzi – tessuti a Bruxelles nell’atelier di Peter van Aelst – con fili d’oro, spazi ampi, gesti chiari. Raffaello è epico nella Morte di Anania, mistico nel Martirio di Stefano con la visione della Trinità, drammatico nella Conversione di Paolo (se ne ricorderanno il vecchio Michelangelo e Caravaggio?), soprannaturale nel Pasce oves meas. Una scena commovente: il Cristo in bianco e oro dona il mandato a Pietro inginocchiato sullo sfondo di un paesaggio paradisiaco ed umano al tempo stesso, una sinfonia della luce e del colore.

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Raffaello unifica ogni sua suggestione – dall’antichità classica al colore veneto, dalla natura dossesca ai nordici a Michelangelo- creando un linguaggio capace di dare unità alla cappella e al suo ciclo decorativo con continui rimandi di senso spirituale ed artistico. Ne deriva una visione d’insieme all’insegna della grazia,
ossia dell’armonia totalizzante.
Con gli arazzi, illuminati in modo nuovo e restaurati pazientemente dai laboratori vaticani, l’anno del Sanzio vede la seconda tappa, dopo la mostra ancora in atto della Pala dei Decemviri del Perugino.

Una occasione da non perdere – l’ultima volta fu dieci anni fa – per comprendere come doveva essere la cappella prima del Giudizio michelangiolesco (che dovette apparire un “colpo nello stomaco”), ossia uno scrigno di equilibrio. E poi la forza del progetto dei pontefici – Sisto IV Giulio II Leone X – di unire in un solo luogo fede e bellezza come unità inscindibile del Mistero rivelato luminosamente al mondo. Raffaello, maestro di perfezione, ha raggiunto lo scopo.

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