Gli angeli di Melozzo

Forlì dedica al suo pittore la più grande retrospettiva. Settanta capolavori. Da Piero della Francesca a Raffaello.
Melozzo

Sono felici gli angeli di Melozzo. Ragazzi che suonano il liuto, la viola, i tamburelli. Splendidi nell’azzurro del cielo. Hanno capelli fluenti, vesti gonfiate dal vento, colori smaglianti. E sono solidi. Come le creature di Piero della Francesca. Ma non impassibili. Stanno festosi a dominare lo spazio. È il paradiso, certo. Ma un paradiso di corpi risorti, pieni di vigore e di giovinezza eterna.

 

Chi non li conosce e non li ha visti mille volte riprodotti?

Vederli qui a Forlì, venuti dalla Pinacoteca Vaticana, quasi alla fine della più ampia rassegna dedicata al maestro, fa un’impressione diversa. Sembrano pezzi di cielo scesi vicino a noi, per portarci su come il Cristo dell’Ascensione, che circondavano nell’affresco – distrutto nel Settecento e ora in frammenti – ai Santi Apostoli in Roma.

 

Non è la prima volta che Melozzo dipinge angeli. Nella volta della sagrestia di Loreto li ha affrescati insieme ai profeti entro architetture calibrate: figure robuste, colori sanguigni, in una prospettiva circolare di cui si ricorderà Raffaello nelle Stanze vaticane. Come lui si ricorda degli orizzonti di Bramante, della classicità del Mantegna. Anche questi angeli sono creature della gioia. E di una gloria che sembra una musica, tanto armonioso è il loro disporsi nello spazio aereo.

Come in cielo, così in terra. Melozzo, che non è un mistico come Angelico, un contemplativo come Perugino o un idealista come Raffaello, è concreto: per lui, la gloria dei cieli scende sulla terra e viceversa.

 

Nella mostra, infatti, è presente – uscito dal Vaticano dopo oltre cinquecento anni – l’affresco di Sisto IV e il Platina, dipinto verso il 1477. Sisto era un papa umanista, puntava a fare di Roma il centro d’irradiazione della cultura cristiana, perciò vi chiamava artisti e intellettuali. Anche Melozzo. A lui, “principe dei pittori”, affida l’affresco celebrativo del suo pontificato. L’atto in cui nomina Bartolomeo Platina – un laico – bibliotecario della Vaticana, per la prima volta aperta al pubblico. L’affresco farà storia, se si pensa che è il prototipo di tutti i ritratti di Stato, papi o governanti, da Raffaello a Tiziano a Velàsquez, fino ai nostri giorni.

 

In questo dipinto, i ritratti sono vivi, plastici, si accampano nell’interno classicheggiante e dorato come personaggi che sanno di star facendo la storia. Sisto IV, seduto, guarda il nipote Giuliano Della Rovere (futuro Giulio II) che si “squaderna” al centro nella cappa rosso fiammante, insieme agli altri familiari del pontefice e al Platina inginocchiato. Il messaggio è culturale, politico e dinastico, fatto di allusioni sottili nei gesti calibrati, negli sguardi intensi. Ogni personaggio è sbalzato dal colore squillante come una statua destinata a durare per sempre.

 

L’aria che vi si respira è solenne e quieta, la bellezza è quella di Melozzo: tranquilla, sicura. Trasmette un sentimento di eternità, e nello stesso tempo di vicinanza fisica. L’immortalità e la realtà, il cielo e la terra, appunto, come è tipico di quest’artista.

 

Si capisce che dietro a lui verrà Raffaello. Non a caso la mostra si conclude col giovanile Angelo dell’Urbinate, creatura celeste e terrestre insieme. Melozzo, romagnolo sanguigno, ha aperto la strada.

 

Melozzo, l’umana bellezza tra Piero della Francesca e Raffaello. Forlì, Museo san Domenico, fino al 12/6, a cura di A. Paolucci (cat. Silvana editoriale).

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