Giustizia minorile al banco di prova

Quello su cui in questi tempi si stanno cimentando in materia minorile, Palazzo Chigi da un lato e la Commissione Giustizia della Camera dall’altro, è argomento “ad alta temperatura”. Mi riferisco al progetto di legge (n.2517/C) che prevede l’istituzione di sezioni specializzate dell’autorità giudiziaria (tribunale e corte d’appello) per trattare le controversie di competenza del tribunale per i minorenni in materia civile, penale e amministrativa, nonché quelle attualmente devolute alla competenza del giudice tutelare e del tribunale ordinario in materia di rapporti di famiglia e minori. Si tratta di un tentativo di riforma di una delle branche più delicate e complesse del diritto processuale, in considerazione dei particolari interessi soggettivi che sono ad essi connessi. È evidente infatti che il minore è una “parte” del processo particolare: da un lato è soggetto in via di formazione, talvolta non del tutto consapevole degli effetti sociali della sua condotta; dall’altro, proprio perché non ha una personalità definita, deve poter disporre di punti di riferimento certi, cui indirizzare quella condotta stessa. Il provvedimento del magistrato destinato a produrre effetti in relazione ad un minore deve essere perciò pronunciato tenendo conto di questi due termini di riferimento imprescindibili, e chi – se non un magistrato “specializzato” – può assolvere a questo delicato compito? Il punto è verificare se la prospettata riforma possa o meno conseguire gli obiettivi espressi nella relazione al progetto: e cioè “realizzare l’attribuzione ad un unico organo giudiziario della cognizione su tutte le tematiche inerenti la famiglia ed i minori”, al fine di “porre termine ai contrasti ed alla parcellizzazione delle competenze e di garantire una specializzazione del giudice in una materia vasta e delicata come quella in esame”. La riforma non prevede aumento dell’organico giudicante, i giudici (in verità già adesso non moltissimi) attualmente in forze presso i tribunali dei minorenni sarebbero collocati presso le sezioni specializzate; ad essi però (secondo un recente emendamento al progetto) potrebbero essere assegnati “anche altri affari civili in casi eccezionali, dovuti ad imprescindibili esigenze di servizio e purché ciò non comporti ritardo nella trattazione delle controversie previste dalla presente legge”. al banco di prova Il sospetto (avanzato anche in un parere espresso sugli emendamenti al progetto dal Consiglio superiore della magistratura) è che potrebbe spesso ricorrersi alla deroga e così “distrarre” questi giudici specializzati verso altri affari e altre controversie che nulla abbiano a che fare con i minori, vanificando così le finalità della riforma. Del resto – vista la proverbiale onerosità del carico giudiziario che affligge la nostra magistratura – questa sarebbe ipotesi molto verosimile. Ma poi è da chiedersi se la cosiddetta “specializzazione” del giudice potrà essere conseguita pienamente da quanti per ragioni operative dovranno cimentarsi nella cognizione di materie tanto numerose quanto delicate, oltre che poter essere assegnati – come si diceva – ad “altri affari civili”. Come ricordava il giudice Livia Pomodoro, presidente del Tribunale dei minori di Milano, in un convegno sulla riqualificazione dei bimbi maltrattati, organizzato nel marzo scorso dal tribunale stesso e dalla Caritas, ci sono seri dubbi “di trovare 500 giudici specializzati in problemi di famiglia, destinati ad occuparsi oltre che di giustizia minorile anche di civile, penale, amministrativo, separazioni, divorzi, tutela della persona, handicap, interdizione”. Insomma, “prima di buttare a mare settant’anni di esperienza e di cultura dell’infanzia (…), forse si dovrebbe pensare – secondo l’autorevole giudice – se non vale la pena di concentrare nei tribunali per i minori anche le attività che svolgono oggi quelle poche sezioni specializzate che ci sono nei tribunali provinciali, oppure pensare a sezioni distaccate se il bisogno è quello di andare sul territorio in modo da essere più vicine ai cittadini”. Parole che pesano come un macigno; tanto più se si pensa che la progettata riforma prevede che le sezioni specializzate verranno istituite presso tutte le corti d’appello, presso tutti i tribunali aventi sede nei capoluoghi di provincia e presso tutti i tribunali il cui organico e carico di lavoro lo consentano secondo determinati criteri: un progetto che potrebbe rivelarsi particolarmente ambizioso e forse di non agevole attuazione. Eppure la riforma non è più differibile. Perché ormai non è più differibile l’attenzione per il pianeta minorile, ed in particolare per le sue prospettazioni più patologiche; ciò in quanto solo una specifica sensibilità verso le sue problematiche può segnare una passo decisivo in avanti nel progresso della società civile intera.

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