Giustizia per l’Africa, le scelte da compiere

La denuncia di papa Francesco sul nuovo tipo di colonialismo, quello economico, è un atto di accusa diretto al mondo intero che da secoli si approfitta del continente africano
Africa.viaggio del papa a in Congo e Sud Sudan (AP Photo/Jerome Delay)

Il viaggio in Africa di papa Francesco, così fortemente voluto dal pontefice, è stato denso di significato. Quando in agosto per motivi fisici e di sicurezza la visita nella Repubblica Democratica del Congo era stata annullata, papa Francesco aveva subito promesso ai fedeli che il primo viaggio del 2023 lo avrebbe visto nel continente africano.

La  scelta  del   pontefice  per   questo   suo  quarantesimo viaggio era opportunamente caduta  sulla Repubblica Democratica del Congo e sul Sud Sudan perché sono due Paesi simbolo  dell’Africa, ricchissimi  di risorse,  ma  forse   proprio  con  la maledizione di  essere troppo ricchi.  Il milione di fedeli che attendeva il papa a Kinshasa è stato la dimostrazione di quanto la sua venuta e la sua figura fossero necessari in un paese tribolato come il Congo.

In una megalopoli di quasi 18 milioni di abitanti, dove la povertà e la disperazione sconvolgono la popolazione, papa Francesco ha saputo toccare alcune corde particolarmente significative, lanciando un monito al mondo intero.

Francesco ha accusato le potenze occidentali e orientali di essere capaci solo di sfruttare il continente africano e la Repubblica Democratica del Congo ne è il perfetto esempio. Questo gigante nel cuore dell’Africa ha enormi potenzialità economiche, ma il suo popolo muore di fame, mentre le  multinazionali e le potenze straniere saccheggiano suolo e sottosuolo.

La denuncia di un nuovo tipo di colonialismo, quello economico, è un atto di accusa diretto al mondo intero che da secoli si approfitta del continente africano. La corsa all’Africa è  ormai  un fatto noto, le cosiddette  potenze  emergenti come la Cina, la Turchia, la Russia e i Paesi del Golfo hanno già scalzato l’Europa, ma nessuno aveva mai preso una posizione così netta condannando questa nuova tipologia di colonialismo.

La  Repubblica Democratica del Congo è stata scelta dal Vaticano proprio perché simboleggia in pieno cosa significhi attirare le brame delle potenze straniere che dal Paese ottengono oro, diamanti, coltan, terre rare e metà della produzione mondiale di cobalto e litio, minerali chiave per la transizione ecologica.

L’est del Paese è ancora sconvolto dalla guerra con circa 130 milizie che terrorizzano e brutalizzano la popolazione, mentre lo stato centrale non fa nulla per impedire questo ennesimo genocidio. Si calcola che dalla metà degli anni ’90 nella Repubblica Democratica del Congo siano state uccise circa 6 milioni di persone, numeri che non si sentivano dal secondo conflitto mondiale.

In questo enorme gioco geopolitico l’Europa ha perso terreno, non essendo stata capace di sfruttare il suo iniziale vantaggio. Le nuove potenze hanno usato l’accusa di colonialismo per demonizzare la vecchia Europa e scalzarla da territori che governava da secoli.

Gli africani non hanno capito che i cinesi hanno investito in Africa per diventarne i nuovi padroni con la trappola del debito, che i russi sono lì solo per alimentare gli scontri e vendere armi, mentre i turchi vogliono fare affari anche finanziando l’islamismo più estremista. In questo complicato scacchiere l’Italia non è stata in grado di ritagliarsi un ruolo, nonostante la sua posizione geografica come ponte fra Europa ed Africa.

La Francia ha insistentemente lavorato da sola, ottenendo solo una serie di dolorose sconfitte militari sul campo e la cacciata dei propri ambasciatori da Mali e Burkina Faso, due pezzi della ormai ex Francafrique in frantumi. Solo un lavoro unitario da parte dell’Europa potrebbe permettere al nostro continente di essere competitivo e non un nano geopolitico che viene schiacciato dalle potenze concorrenti.

L’Europa e l’Italia dovrebbero lavorare a stretto contatto con i governi africani, applicando la formula del win-win, una metodica che avvantaggia entrambi superando l’aspetto predatorio che ha caratterizzato ogni rapporto del passato.

Il Mediterraneo dovrebbe diventare il primo terreno di confronto e non di scontro, perché lavorando insieme dalle due sponde la crescita è molto probabile. L’Africa è un continente in grande espansione, sia demografica che economica, e la Cina vende già moltissimi prodotti nel continente. La difficoltà di reperimento e gli alti costi non rendono concorrenziali le produzioni europee e ancora di più quelle italiane che invece potrebbero avere un grande successo in Africa.

Ripensare i rapporti con il continente in modo sistemico è l’unica via per non essere tagliato fuori da una zona geopoliticamente chiave per il presente e per il futuro. Correre in Africa solo per un’emergenza come la crisi energetica dovuta alla guerra in Ucraina, dimostra la scarsa lungimiranza delle classi dirigenti europee, che devono capire che solo con questo tipo di collaborazione il vecchio continente può tentare di essere ancora protagonista.

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