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Giustino Trincia, a Roma una delle grandi povertà è la solitudine

a cura di Vittoria Terenzi

- Fonte: Città Nuova

Dialogo a tutto campo con Giustino Trincia, direttore della Caritas di Roma, con riferimento ai contenuti dell’ esortazione apostolica Dilexit te. Uno sguardo attento alle ferite della metropoli

Mensa Caritas Roma

È trascorso poco più di un mese dalla pubblicazione della prima Esortazione apostolica di papa Leone XIV sull’amore versi i poveri, Dilexit te. Ne parliamo insieme a Giustino Trincia, direttore della Caritas di Roma, che ci racconta il suo impegno verso le persone che soffrono a causa della povertà e della solitudine nella città di Roma.

Giustino Trincia
Foto Caritas Roma

L’esortazione apostolica Dilexit te inizia sottolineando che l’amore per il prossimo scaturisce dall’incontro personale con Dio. Può raccontare la sua esperienza di fede e in che modo anima e motiva il suo servizio come direttore della Caritas di Roma?

La fede è un dono del Signore che occorre non dare mai per scontato e coltivare ogni momento della tua vita. Mi considero dunque sempre in cammino, in ricerca di una conversione profonda del mio cuore e chiedo spesso perdono a Dio padre per la mia inadeguatezza ad affidarmi completamente a Lui.

Il mio percorso nasce grazie alla testimonianza che ho ricevuto dalla mia famiglia. È cresciuto grazie all’intensa esperienza fatta con il gruppo giovanile Emmaus a Spoleto, la città dove sono nato e ha avuto un momento di particolare maturazione grazie all’esperienza di preghiera e di lavoro insieme fatta in estate, per alcuni anni, presso la Comunità dei Piccoli Fratelli di Carlo Carretto a Spello, sempre in Umbria. Qui ho avuto il dono di condividere con quel gruppo di circa 40 giovani, sotto la guida di Carlo Carretto, di Giuseppe Florio e di fratel Giovanni, l’annuncio della Parola e l’esperienza dell’adorazione eucaristica quotidiana, dopo una mattina di lavoro manuale in campagna. Il resto della mia vita è stato un continuo sperimentare l’amore di Dio, attraverso il matrimonio (sono sposato con Adriana da 45 anni), 2 figlie e 2 nipoti, e la consolazione e il sostegno ricevuto nelle prove a volte molto dure che la vita mi ha riservato.

Il percorso di discernimento fatto attraverso la cura amorevole della Chiesa di Roma che abito ormai da 40 anni, con la successiva ordinazione a diacono permanente, esattamente dieci anni fa, hanno arricchito e fortificato la mia conversione e mi stanno sostenendo molto nel cammino di discepolato sulle orme di Gesù, il maestro. Vivo il mio ministero come direttore della Caritas di Roma, sempre più consapevole dei miei limiti, nella prospettiva di quel servizio che il ministero di diacono è chiamato a testimoniare sempre. Papa Francesco definì il diacono come «il custode del servizio nella Chiesa». Mi aiuta tantissimo ritornare a queste sue parole, anche per rinnovare la mia povera fede, oltre che per superare difficoltà e possibili delusioni del tutto umane che posso incontrare.

Il testo dell’esortazione apostolica dice: «Nessun gesto di affetto, neanche il più piccolo, sarà dimenticato, specialmente se rivolto a chi è nel dolore, nella solitudine, nel bisogno…». Il vostro impegno come operatori Caritas si nutre di piccoli e grandi gesti di vicinanza. C’è un’esperienza di prossimità che le è rimasta nel cuore più delle altre?

Sento gli anni che passano, sono arrivato alle 68 primavere e noto che mi commuovo più facilmente, sia quando mi trovo accanto a coloro che sono nella sofferenza, nel dolore – una moltitudine che cresce in questa meravigliosa città di Roma –, sia quando frequento persone dedite al servizio degli ultimi, dei piccoli, con una generosità e uno spirito di gratuità che tocca in profondità il cuore. Tra i tanti e gravi problemi della città, vedo però che c’è un giacimento di bontà che splende quanto più resta nel silenzio e nella discrezione, perché la carità più bella è proprio quella che non si fa pubblicità, che è discreta, che resta nel guardarsi negli occhi tra chi è nel bisogno spirituale e affettivo prima ancora che materiale e chi si rende disponibile a donare amore, prima ancora che un aiuto concreto, a volte indispensabile. Mi risulta difficile citare una esperienza che mi è rimasta particolarmente nel cuore.

Tra quelle più intense, cito gli esempi che ho visto di poveri che rinunciano pure al poco che ricevono, per aiutare altri poveri; cito alcuni operatori a tempo pieno della Caritas di Roma che sono quotidianamente impegnati e messi alla prova per aiutare e servire in certi servizi rivolti proprio ai più fragili (persone con problemi di salute mentale seri; con dipendenze da alcool o da sostanze; con malattie invalidanti e piagati nel corpo); cito i volontari che si uniscono a noi la sera tardi per il servizio di strada, alla ricerca di chi dorme su cartoni o giacigli rimediati, nel tentativo di convincerli a non restare lì all’aperto e a seguirci; cito la generosità di tanti volontari che nelle parrocchie romane si spendono anche la domenica per offrire non solo un pasto ma soprattutto calore umano a persone, spesso anziane o vittime di un mercato del lavoro degradante, che sono alla ricerca di affetto, di essere riconosciute, chiamate per nome e di conoscere il nome di chi li sta servendo; cito anche gli ormai amici e fratelli sacerdoti e diaconi che danno del proprio in silenzio, per tentare di arginare le tante forme di povertà da cui siamo circondati in una città in condizioni economiche generali migliori rispetto a molte altre.

Nella Dilexit te papa Leone afferma che la scelta prioritaria per i poveri può generare un rinnovamento straordinario sia nella Chiesa che nella società. In che modo la Caritas di Roma si impegna a fare sì che si creino strutture e progetti capaci di produrre un cambiamento per una società più giusta ed equa?

La risposta più significativa la possono dare i 46 anni di storia della Caritas di Roma, a partire dalla testimonianza offerta da quel profeta dei poveri che risponde al nome di don Luigi Di Liegro, salito al cielo ormai nel 1997 ma la cui testimonianza resta viva nel ricordo diffuso della città di Roma e non solo della Chiesa locale. Lui, come più di recente si può dire per papa Francesco, aveva questa straordinaria capacità di parlare e di arrivare al cuore di tutti, credenti e non.

Per quanto riguarda il presente a me preme sottolineare che le strutture e i progetti di cui c’è maggiore necessità sono quelli che riescono ad andare al di là della a volte necessaria erogazione di un servizio. Roma ha bisogno di tanti aiuti di tipo materiale – l’elenco sarebbe lungo da fare –, ma ha soprattutto bisogno di riscoprire il valore inestimabile di ogni vita umana e quindi delle relazioni umane che si sono andate fortemente attenuate, a favore di sentimenti di paura e di rancore verso gli altri.

L’urgenza è promuovere e curare nuove infrastrutture sociali, perché le strutture di cui pure la città ha bisogno per colmare il forte ritardo accumulato negli ultimi 30 anni, poco possono se non ci si prende anzitutto cura delle persone; se si continua a separare la necessità dell’accoglienza e dell’integrazione sociale dall’esigenza di dare risposte sul piano della sicurezza.

La principale sfida da raccogliere e vincere a Roma è quella delle tante forme di solitudine di cui si fa esperienza. Penso soprattutto ai giovanissimi e ai giovani; alle persone anziane; alle donne con minori e figli totalmente a loro carico. In generale come Caritas sono convinto che dobbiamo sempre più promuovere una carità che vada oltre la soglia dell’assistenza e che si caratterizzi per la capacità di promuovere e battersi per lo sviluppo umano integrale della persona. Non c’è carità senza giustizia, c’è scritto nella lapide sulla tomba dove nella Basilica dei SS Apostoli è stata da poco traslata la salma di don Luigi Di Liegro. Questa sua breve frase, a tanti anni di distanza è ancora purtroppo molto attuale! Non dobbiamo stancarci di stimolare nella chiesa di Roma la via della carità politica, di una carità cioè che non risente delle dinamiche del confronto tra le diverse forze politiche, per farsi invece interprete della testimonianza concreta dell’aiuto concreto da dare a chi non ha e al tempo stesso della capacità di denunciare e di intervenire sulle cause che stanno alla base di troppe povertà e delle molte disuguaglianze che investono oggi più che mai i poveri della città.

Le è mai capitato di riscontrare pregiudizi nei confronti delle persone povere? Come si può contribuire a eliminarli?

Si, spesso e mi pare pure in crescita, perché accanto alla città solidale troviamo una città povera di contenuti culturali in grado di superare appunto i pregiudizi.

La povertà culturale è tra le più gravi in assoluto quando si parla di persone e il clima generale che vediamo tende ad abbassare il livello, certo non ad alzarlo. Il consumismo e l’individualismo crescono con il crescere della povertà di strumenti a disposizione per comprendere una realtà che è oggettivamente complessa.

I poveri spaventano, come spaventano i “diversi”, come spaventa il cambiamento della realtà che ti tocca da vicino. Penso alle forti resistenze che a volte incontra, purtroppo anche in qualche ambiente della nostra realtà ecclesiale, l’apertura di un nuovo servizio rivolto a coloro che hanno di meno.

Come fare? Le vie maestre sono quelle della formazione e della testimonianza personale e comunitaria. L’Esortazione apostolica sull’amore verso i poveri di Papa Leone XIV Dilexi te, scritta, se posso dire, a quattro mani con papa Francesco, ci offre tantissime indicazioni sui contenuti. Ritengo poi che occorra aumentare di molto l’offerta di occasioni di ascolto e di dialogo reciproco tra le persone, e di informazione e di formazione rivolte loro, partendo dai temi di attualità. C’è poi la via di quella pedagogia dei fatti che la Chiesa fin dalle sue origini ha sempre privilegiato e che va riscoperta, offrendo, soprattutto ai giovani, la possibilità concreta di impegnarsi in prima persona, venendo in contatto e possibilmente mettendosi al servizio di chi ha di meno e di chi è diverso per cultura, colore della pelle, appartenenza religiosa, Paese di origine, identità sessuale.

 

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