Giovanni Paolo I, la gente l’ha amato subito

Cento anni fa nasceva Albino Luciani, pontefice per appena 33 giorni, ha impresso nella Chiesa un’impronta fatta di vicinanza al popolo e di fedeltà al Concilio. Lo ricordiamo riproponendo l’articolo di Città Nuova sulla sua elezione
Papa Luciani

«Ti piace il papa?». «Sì». «Perché?». «Perché non è noioso». Dice più di lunghissimi discorsi questa candida risposta alla tv di un bambino in piazza San Pietro, dopo che papa Luciani si era presentato per la prima volta all'immensa folla dal balcone delle benedizioni e aveva raccontato sorridendo («parla come uno di noi», ha osservato un giornalista sul Corriere della sera) come aveva vissuto l'avventura della sua elezione.
 
Il nuovo papa ha il dono di farsi capire immediatamente da tutti, anche dai bambini. Ha il linguaggio normale, immediato che usava Gesù, la sapienza del cuore che rende capace di comunicare subito la vita attorno a sé e di creare subito un rapporto spontaneo: il dono meraviglioso di chi viene da una lunga esperienza pastorale, sempre a contatto  con la gente, e non ha bisogno di discorsi difficili da addetti ai lavori. È un uomo con una vasta cultura umanistica e teologica, che ha superato la fase in cui si trovano coloro che ancora studiano il cristianesimo in laboratorio: le sue parole sono immediatamente quelle che devono essere. Basta che apra bocca e già l'intesa c'e, comunicativa, vera. «Come papa Giovanni», dicevano tanti in quella piazza, quasi increduli che fosse possibile una commozione così subitanea, una comprensione, una unità così immediata.
 
La gente – la gente del popolo, genuina, che sa riconoscere quelli che sono "come lei" – l’ha subito capito, il nuovo papa: la gente che sente d'istinto il bisogno di un pastore, di qualcuno che sappia dirle con semplicità: andiamo avanti insieme, datemi una mano.
È stato un primo fatto scioccante per tutti, quell'incontro, quell'unisono tra il papa e la gente: non c'è stato bisogno di spiegazioni, erano già d'accordo fin da principio.
Gli addetti ai lavori e i giornalisti di ogni estrazione si erano dati da fare, nei giorni precedenti, in attesa del conclave, nello sforzo di prevedere quale mai pontefice ne sarebbe uscito. E lo facevano in base al metro di cui dispongono normalmente: le solite alchimie della diatriba politica. Ma lo Spirito Santo non è legato a quegli schemi: sono un abito troppo stretto per la sapienza.
 
Ora il papa l’abbiamo: un papa fatto apposta per creare l'unità e la simpatia, che come primo gesto ha scelto un nome originale ma di significato chiarissimo, quello dei suoi due predecessori, per dire con evidenza la sua intenzione di continuare sulla strada da loro tracciata, impostata dal Concilio. E l’ha subito ribadita, riconfermando tutti i più stretti collaboratori, a cominciare dal segretario di Stato Villot, e i responsabili dei dicasteri romani per altri cinque anni, nel segno della continuità di uno sviluppo che trova anche in pontefici precedenti le sue fondamenta. Giovanni Paolo I ha indicato a grandi linee quale sarà il programma del suo pontificato. Il quale comincia non più con una cerimonia trionfalistica di incoronazione, ma con una semplice messa solenne davanti ai rappresentanti di tutti i popoli, e sul sagrato di San Pietro, per essere a contatto diretto, ancora una volta, col popolo.
 
È molto importante considerare i punti fondamentali di questo programma. Ci aiutano già da ora a capire e a seguire gli atti successivi che il papa compirà nei mesi e negli anni che verranno, e a partecipare con lui – uniti a lui – alla loro applicazione in tutta la Chiesa. E ciò, speriamo, in uno spirito nuovo di collaborazione e di fiducia e comprensione, dopo i traumi di molte contestazioni negative degli anni passati che fecero tanto soffrire papa Montini. Perché questa è ormai l'ora di
superare l'irrigidimento su posizioni particolari e di saper costruire insieme, pur in un sano pluralismo di sensibilità, puntando, invece che sul dissenso, sul cambiamento della qualità della vita, che è la contestazione positiva dei santi. Paolo VI nella scia di papa Giovanni, intende proseguire la realizzazione del Concilio, «le cui norme sapienti devono tuttora essere guidate a compimento». E ciò, ha precisato, evitando due pericoli opposti: gli eccessi di chi ha fretta di cambiamenti e per una spinta «generosa forse ma improvvida» ne può travisare i contenuti; e le posizioni retrive di «forze frenanti e timide» che ne possono rallentare «il magnifico impulso di rinnovamento e di vita». Dunque: avanti con saggezza sulla via intrapresa, con animo aperto e senza spirito di avventura.
 
Secondo punto: «Conservare intatta la disciplina della Chiesa» portando avanti, fra l'altro, la riforma del codice di diritto canonico, per garantire solidità alle linee anche giuridiche di essa, salvaguardando «il patrimonio indelebile della cristianità», e promuovendo le virtù che sono «al servizio dei poveri, degli umili, degli indifesi».
È un discorso franco e forte, questo, che ci pare fondamentale in un momento in cui tutto sembra tendere all'incerto, all'evanescente, all'indefinito, e in cui grandi rimescolamenti di idee si verificano fra i sostenitori delle fragili ideologie umane. Questa riaffermazione di una Chiesa solida, ferma nella sua dottrina e nella sua fondamentale disciplina, è un punto chiaro e necessario di riferimento.
 
La gente sente l'esigenza di questa chiarezza e fermezza di fede e di vita coerente. Contrariamente alle idee degli uomini, destinati a mutare, queste verità essenziali, che hanno fondamento nel Vangelo, in Dio, non possono non essere stabili. Non si tratta di mentalità conservatrice, ma solo di normale coerenza alla fede.
Altro punto: la forte riaffermazione che il primo dovere della Chiesa, al di là delle evoluzioni culturali e politiche del mondo in cui è immersa, è quello della «evangelizzazione»: l'annuncio di un messaggio che le ideologie umane mai potranno dire e proporre: l'annuncio della salvezza. Di qui un rilancio missionario dei cristiani: «Se tutti i figli della Chiesa sapranno essere missionari del Vangelo, una nuova fioritura di santità e rinnovamento sorgerà nel mondo, assetato di amore e di verità».
 
Quello che il recente conclave ci ha dato è dunque un papa che vuole porsi umilmente «a disposizione totale della Chiesa e della società civile, senza distinzioni di razze e di ideologie, per assicurare al mondo un giorno più sereno e più dolce».
Questo ottimismo che nasce dal profondo, dall’esperienza del contatto umano con tutti, di chi sa quanto c'è di sano in mezzo alla gente nonostante le apparenze, e da una fede formidabile, caratterizza, ci pare, l'inizio di questo nuovo pontificato.
Qualcuno ha giustamente osservato che nessuno è in grado di dire oggi come esso sarà: neppure il pontefice stesso. Perché le componenti storiche e quelle della provvidenza, e quelle personali, che interverranno, non le conosciamo. Possiamo però intanto dire la nostra gioia, il senso di grande speranza che subito il nuovo papa ci ha comunicato fin dal primo suo apparire.
 
Il programma di «umiltà», che egli ha scelto come motto, ci insegna con che stile egli porterà avanti le cose: egli vuole lavorare, “con” gli altri componenti della Chiesa, a rafforzarne la coesione e l'unità. Certo la sua sarà una Chiesa non trionfalistica, amante dei poveri, ben ferma nei princìpi della dottrina, carica di afflato pastorale, dove ci si senta veramente, spontaneamente, di una stessa famiglia di figli di Dio in cammino, nel senso più autentico, sincero della parola.
Il papa ha cominciato subito col farsi amare da tutti (vale la pena di prendere in considerazione qualche frangia di persone che non sanno vedere le cose che superficialmente, o ancora solo
dall'angolazione dell’odio preconcetto?), soprattutto dagli umili, dalla gente del popolo. E il suo ottimismo, la sua ansia apostolica universale («san Paolo – ha detto – ci guidi nello slancio apostolico verso tutti i popoli della terra») ce lo sentiamo "trasmesso" nel cuore e nell'anima, fin dal primo momento. Ci sentiamo profondämente, intimamente con lui in questo grande impegno, a cui vogliamo fermamente portare il nostro contributo, con tutte le forze, in unità con lui.
 
Guglielmo Boselli
Da Città Nuova n. 17/1978.

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