Giovani, termometro della Chiesa

Derio Olivero, vescovo di Pinerolo, mostra la bellezza di un rapporto coi giovani che rende vitale e generativa la vita delle parrocchie e delle comunità. E ci racconta quanto sia importante e urgente il Sinodo che li vede protagonisti

Derio Olivero, classe 1961, è un sacerdote straordinario dalle infinite capacità di rapporto, soprattutto con i giovani che lo hanno sempre cercato, ascoltato, voluto al loro fianco. Derio, per la sua fedeltà a Gesù Cristo, contagia e attrae chi desidera compiere un cammino bello e liberante sulla strada della vera libertà. Dal 7 luglio 2017, papa Francesco lo ha nominato vescovo di Pinerolo (To). Lo abbiamo incontrato per porgli alcune domande sul Sinodo dei giovani che si è aperto in questi giorni a Roma.

Come mai, secondo lei, il Sinodo sui giovani sta suscitando così tanto interesse sui media di tutto il mondo?

Siamo una società “vecchia”. L’allungamento della vita e la riduzione delle nascite, almeno in Europa, sta creando una società vecchia. I giovani sono una rarità, la nascita di un bimbo sta diventando un evento storico. Ci mancano i giovani, ci stiamo rendendo conto che sono pochi. Inoltre ci stiamo rendendo conto che “ci sfuggono dalle mani”: c’è una distanza crescente tra adulti e giovani, che va molto al di là della classica differenza tra generazioni. I giovani stanno diventando sconosciuti e distanti. Affettivamente più vicini, culturalmente più distanti. Un pianeta sconosciuto, che gira su altre priorità, che poggia su un altro paradigma. Se poi veniamo all’interno della Chiesa, ci rendiamo conto che i giovani sono i grandi assenti. Ecco: questi sono alcuni fattori che ci fanno capire perché il Sinodo sui giovani sia così atteso, desti così tanto interesse. Ovviamente assieme a tante preoccupazioni: nei giorni immediatamente precedenti l’apertura del Sinodo alcuni cristiani legati a gruppi “conservatori” hanno suggerito di rinviarlo perché impauriti dalle tematiche che una riflessione sui giovani potrebbe generare. Ecco un ulteriore motivo dell’interesse: parlare di giovani significa inevitabilmente parlare di cambiamento. E tale questione è assolutamente attuale. In un’epoca di transizione, in un tempo definito come “cambio d’epoca” parlare di giovani significa osare il cambiamento.

Derio Olivero

Non pensa che il papa si sia un po’ stufato di questa Chiesa vecchia, ancorata alle strutture e al potere più che alla trasparenza del Vangelo, e allora stia puntando tutto sulle nuove generazioni, aprendo loro la possibilità di diventare protagonisti dei cambiamenti fin da subito?

Il papa vuole rinnovare la Chiesa. Questo è certo. Vuole una Chiesa in uscita. Questo non significa che i cristiani debbano andare in giro a “dire il Vangelo”, a fare proseliti. Vuol dire, piuttosto, che i cristiani devono uscire dal solito modo di “dire” il Vangelo ed iniziare a “dirlo in altro modo”. Si tratta di uscire dai soliti schemi, dai soliti linguaggi, dai soliti riti. La Chiesa è sempre più percepita come una “riserva indiana”. La riserva indiana è un territorio dove vivono gli indiani, con la loro storia gloriosa e con il loro modo particolare di vestire, di parlare, di fare i riti. Così i cristiani sono percepiti come “riserva indiana”. Le nostre parrocchie sono sempre di più una riserva indiana: hanno una storia gloriosa alle spalle, parlano un linguaggio tutto loro, fanno riti strani. La gente si affaccia di tanto in tanto, ci guarda con curiosità, ma poi torna alla vita “vera”, alla vita seria. Il papa questo l’ha capito molto bene. Per questo ci sprona ad aprire gli occhi, a riprendere l’iniziativa, a rimetterci in discussione. Come? Spostandoci, spingendoci ad uscire dalla riserva indiana per andare nella vita concreta. Per imparare. Ed ora, con il Sinodo, ci sprona ad uscire per andare ad imparare dai giovani. Lo dice bene nella lettera con cui ha accompagnato il Documento preparatorio: «Un mondo migliore si costruisce anche grazie a voi, alla vostra voglia di cambiamento e alla vostra generosità… La Chiesa desidera mettersi in ascolto della vostra voce, della vostra sensibilità, della vostra fede; perfino dei vostri dubbi e delle vostre critiche. Fate sentire il vostro grido, lasciatelo risuonare nelle comunità e fatelo giungere ai vostri pastori».

 Derio Olivero

Cosa domandano i giovani a un sacerdote perché li possa aiutare, sostenere e accompagnare nelle loro scelte di vita? La Chiesa per un giovane è ancora attuale, sa ancora dare risposte, è ancora cercata dai ragazzi, oppure è superata nella sua struttura e nel suo linguaggio?

Come dicevo prima, credo che i giovani siano i primi a concepire la Chiesa come una “riserva indiana”: lontana, strana, antica, inutile. La presenza, anzi l’assenza dei giovani alla Messa lo dice in modo forte. Per i giovani le nostre messe sono lontane, noiose, strane, inutili. Ma anche i nostri cammini di pastorale giovanile stanno mostrando affanno. La nostra proposta arranca. Per questo è così importante per la Chiesa misurarsi con il mondo giovanile. Io ripeto spesso: «Una Chiesa che non parla ai giovani è una Chiesa che non parla a nessuno». I giovani sono il nostro termometro. È urgente cambiare questa nostra Chiesa. Lo dico con grande affetto, lo dico in nome del grande affetto che nutro per la mia amata Chiesa. E lo dico proprio perché so le potenzialità della Chiesa. Noi siamo a servizio di una “Bella notizia per la vita”. E di questo i giovani sono assetati. Hanno voglia di bellezza e di senso. Sono affamati di bellezza e di senso. Hanno sete di spiritualità, di trascendenza, di uno squarcio. Cercano in noi sacerdoti persone che sappiano entrare in relazione con loro senza giudicarli, persone che sanno dimostrare stima e affetto nei loro confronti; ma soprattutto cercano persone che sappiano aprire squarci, ampliare orizzonti, generare sogni. Come dice l’Instrumentum laboris, nei giovani di oggi «c’è una forte richiesta di spiritualità, di una Chiesa nel cui centro ci sia la preghiera e l’intimità con Dio. In alcune parti del mondo vi è una spontanea apertura alla trascendenza; in altre, dominate da un “umanesimo esclusivo”, la richiesta alla Chiesa è di essere mistica, capace di aprire spiragli di trascendenza nella vita».

 Derio Olivero

Lei ha lavorato tanto con i giovani, cosa cambierebbe nella Chiesa perché i giovani ritornino con entusiasmo e slancio? Basta cambiare il linguaggio alla liturgia, basta essere più esigenti, basta proporre un cammino “alto” o che cosa farebbe?

Sì, ho lavorato sempre con i giovani. È stata la mia fortuna. E ho imparato tanto da loro. Ho ricevuto tanto. Per questo credo che la Chiesa debba innanzitutto convincersi che i giovani non sono un problema, ma una fortuna. Occorre guardarli con stima e fiducia. Occorre star con loro con affetto sincero. Occorre metterci seriamente in ascolto. Occorre essere umili, capaci di imparare da loro. E, nello stesso tempo, occorre essere adulti “felici” di essere adulti. Che non fanno finta di essere giovincelli. Adulti appassionati della vita, pur conoscendone i limiti, le fatiche, le ingiustizie, i dolori. Adulti felici di vivere e di credere. La vita e la fede non si “trasmettono” per somma di informazioni o di comandi, ma dentro una passione per la vita e per la fede. Sarebbe importante che questo si respirasse nelle nostre celebrazioni e nelle nostre riunioni. La questione non è innanzitutto legata a un cambio di “metodi”, ma a un cambio di vitalità. Abbiamo bisogno di un atteggiamento generativo nei vescovi, nei preti, nei credenti, nelle comunità. Adulti generativi, capaci di essere “padri e madri” di questi cuccioli. Adulti capaci di una libertà concepita come una costante disponibilità all’eccedenza.

Una Chiesa travolta dagli scandali, ma pur sempre Madre, pur sempre affascinante, pur sempre via per quella santità a cui deve mirare ogni cristiano. Che cosa  l’affascina di questa chiesa oggi?

Alcuni vedono i problemi come guai, altri come opportunità. Io sono sempre stato un uomo che cerca di guardare le crisi come opportunità. Viviamo un bellissimo tempo: questa crisi, queste crisi possono generare una nuova Chiesa, finalmente! Tutti dobbiamo vigilare, con coraggio e pazienza, con entusiasmo e tenacia, per vedere, nella crisi, ciò che il Signore ci sta già indicando. Perché il Signore è già all’opera nel mondo attuale, molto prima che noi ci mettiamo le mani. Il Signore è già all’opera nelle nuove generazioni.

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