Giovani senza lavoro: solo colpa loro?

La disoccupazione giovanile nel nostro Paese è a livelli preoccupanti: siamo al terzultimo posto in Europa. È giusto attribuirne solo ad essi la responsabilità?
John Elkann e Sergio Marchionne al Salone dell'auto di Detroit

Gli effetti della crisi economica dell’ultimo quinquennio gravano certamente sulle famiglie, sul ceto medio, sulle piccole e medie imprese. Ma non si può negare che il prezzo più alto lo abbiano pagato (e continuino a pagarlo) i giovani che faticano a trovare un  lavoro, quale che sia.

L’ultimo campanello d’allarme sul tasso di disoccupazione giovanile arriva dalla Banca centrale europea che rivolge al riguardo un severo monito al nostro Paese. Siamo al 40 per cento, quasi un giovane italiano su due non lavora. Peggio di noi solo la Grecia e la Spagna, dove il tasso oscilla tra il 50 e il 60 per cento. Una crisi ancora in corso e dalla quale, purtroppo, non si intravede una facile via d'uscita a breve termine.

Il lavoro ci sarebbe, dicono, ma i giovani non hanno abbastanza ambizione per cercarlo. È un'affermazione di alcuni manager di grandi imprese che gira nei network e, talora, viene enfatizzata all’interno di talk show televisivi (l’ultima l’ho registrata l'altra sera su Rai2).

Peccato che siano proprio quelle stesse aziende a rispondere alle richieste di assunzione loro inoltrate da giovani con curricula qualificati (lauree specialistiche, master, stage effettuati), che «in atto le politiche aziendali non consentano di prenderle in considerazione».

Solo colpa dei giovani, bamboccioni e choosy?  Ricordiamo tutti gli appellativi sui  giovani senza lavoro del nostro Paese rilasciate da due ex ministri della Repubblica Padoa-Schioppa prima, Elsa Fornero dopo, e ancora dal sottosegretario Michel Martone.

Mancava solo che su questo argomento si pronunciasse John Elkann, il giovane rampollo della famiglia Agnelli, che, incontrando ieri giovani studenti nella sede della Banca popolare di Sondrio, avrebbe dichiarato che molti giovani «non colgono le tante possibilità che si presentano loro perché stanno bene a casa e non hanno ambizioni».

Peccato che, a fronte della nascita di Fiat Chrysler Automobiles negli Usa, si chiuda definitivamente lo stabilimento italiano di Termini Imerese.

Forse, per il presidente della Fiat, i giovani che hanno voglia di lavorare, uscendo fuori di casa, dovrebbero essere disposti ad emigrare in America.

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