Giordania: un matrimonio non solo romantico

Si sono sposati il primo giugno ad Amman: lo sposo è il principe Hussein, erede al trono hashemita di Giordania, figlio primogenito di re Abdallah II e della regina Rania; la sposa è l’architetto Rajwa Al Seif, figlia minore di una delle famiglie più in vista dell’Arabia Saudita.
Il Principe Hussein di Giordania e sua moglie Rajwa Alseif (Royal Hashemite Court via AP)

Com’era prevedibile, il royal wedding più atteso dell’anno, quello fra Hussein di Giordania e Rajwa Al Seif, ha scatenato i commenti dei media di tutto il mondo, che non hanno trascurato neppure un dettaglio su cortei, palazzi, cerimonie, ospiti illustri, abiti delle signore e chi più ne ha più ne metta.

L’interesse mediatico si è concentrato sulla presentazione romantica degli sposi reali, ma anche di più su genitori e famiglie: in particolare sul re di Giordania, sulla sempre ammirata regina Rania (ha 7 milioni di followers) e sul padre della sposa, l’ingegnere Khaled Al Seif, presidente e Ceo di una delle prime 25 società dell’Arabia Saudita (che conta 40 mila dipendenti), discendente degli sheik di Al Attar, nel Sudair, in Arabia Saudita.

La madre della sposa, Azza Al Sudayri, meno considerata dai media, appartiene in realtà ad una famiglia dell’alta nobiltà saudita, la stessa famiglia dell’omonima madre (1900-1969) di re Salman Al Saud, nonna del Primo ministro ed erede al trono saudita Mohammad bin Salman (MbS).

Molto più delle semplici (si fa per dire) nozze di due giovani vip mediorientali e del legame fra due famose dinastie reali, è un matrimonio che ricorda per analogia una certa politica matrimoniale degli Asburgo della Felix Austria, come l’avrebbe definita il re d’Ungheria Mattia Corvino nella seconda metà del XV secolo: «Le guerre le facciano gli altri, tu, Austria felice, sposati».

Vero, anche se poi di guerre l’Austria ne ha provocate e sostenute comunque parecchie. Nel Medio Oriente di questi giorni, il ruolo dell’antica Austria felix potrebbe essere in qualche modo interpretato dall’Arabia Saudita, pur con evidenti distinguo temporali e culturali.

Così legge il royal wedding, senza mezzi termini nè alcuna concessione romantica, il corrispondente per il Medio Oriente della rivista di geopolitica Limes, Lorenzo Trombetta: «Le nozze tra il principe ereditario giordano e la figlia dell’influente imprenditore saudita Khaled Saif servono a ribadire il rapporto gerarchico tra regno saudita e regno hashemita. Per assicurare il rafforzamento del primo e la sopravvivenza del secondo… Consolidare il potere degli hashemiti in Giordania ed estendere l’influenza dei Saud in Medio Oriente».

Un interessante editoriale pubblicato il 2 giugno scorso da ilpost.it, così descrive la situazione geopolitica che sta dietro al matrimonio di Amman fra Hussein bin Abdallah e Rajwa Al Seif: «La Giordania è un paese senza risorse naturali e con un’economia estremamente dipendente dagli aiuti di grandi paesi come quelli del Golfo. Al tempo stesso, per la sua posizione strategica e per la moderazione della sua politica, è sempre stata tenuta in grande considerazione all’interno della comunità internazionale: i sovrani giordani sono storici alleati degli Stati Uniti e dell’Occidente. La Giordania è anche geograficamente molto centrale: confina con Israele, la Siria, l’Iraq [e l’Arabia Saudita, ndr], e anche per questo ha spesso avuto ruoli diplomatici importanti».

La politica interna saudita avviata fin dal 2016 dall’allora 31enne vice principe ereditario Mohammad bin Salman (MbS) – da settembre 2022 Primo ministro ed erede al trono – è sintetizzata nel noto progetto Saudi Vision 2030, incentrato sulla trasformazione della Saudi Aramco da compagnia petrolifera di fatto proprietà della famiglia Al Saud in una holding, e su cospicui investimenti in settori non petroliferi: soprattutto turismo e intrattenimento d’alto bordo. In questo ampio disegno economico-finanziario e strutturale non sembra purtroppo trovare posto, se non marginalmente, una più aperta considerazione dei diritti umani e un miglioramento della legislazione e dell’apparato giudiziari.

In politica estera, MbS ha ripreso la volontà di portare l’Arabia Saudita a svolgere un ruolo di primo piano a livello internazionale e particolarmente in Medio Oriente. In questo senso ha promosso atteggiamenti possibilisti nei confronti di una tregua nella guerra yemenita; l’appianamento delle divergenze con gli Usa accanto al mantenimento di buoni rapporti con la Russia; una cauta apertura ad Israele; la riconciliazione almeno formale con l’Iran mediata dalla Cina; ultimamente la ripresa di un dialogo con la Turchia di Erdogan e con la Siria di Bashar al Assad.

A margine di questo ambizioso quadro, il principe saudita potrebbe ritenere vantaggioso assicurarsi una sorta di soft-control familiare sulla dinastia hashemita: attraverso gli Al Sudayri, MbS è diventato pro-cugino della futura regina di Giordania.

Auguri comunque ai neo sposi reali che, a giudicare dalle foto e dagli apprezzamenti e incoraggiamenti espliciti della regina Rania, sembrano sinceramente innamorati e felici del loro matrimonio.

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Mediterraneo di fraternità

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons