Anche noi giornalisti e analisti di politica internazionale siamo umani, e perciò siamo in difficoltà: il nostro vocabolario appare obsoleto; le nostre analisi spuntate; le immagini che presentiamo sembrano ormai provocare solo assuefazione nei lettori. Su Gaza abbiamo già scritto, detto e mostrato tanto, tutto, forse troppo, e non riusciamo più a essere efficaci nel suscitare lo sdegno dei lettori e degli utenti. Poco meno d’un paio di centinaia di reporter ci ha lasciato la vita, addirittura.
Cosa possiamo dire di più, come possiamo denunciare più di quanto già non facciamo? Recentemente ho pubblicato un Manuale di giornalismo dialogico (Città Nuova/Sophia, Roma 2025), basandomi anche sull’esperienza vissuta in un medium radicalmente dialogico come Città Nuova. Eppure avverto la necessità di aggiungere un capitolo dal titolo: “Giobbe era ebreo. Annichilimento e prosciugamento della penna dinanzi all’abominio, all’indicibile”.
Dunque, l’Idf – così si fa chiamare l’esercito israeliano da quando ha avviato un’enorme campagna stampa per dare di sé un’immagine meno negativa di quanto avesse prima del 7 ottobre 2023 – ha deciso su ordine dei politici israeliani di avanzare via terra per un’operazione congiunta terra-aria che potrebbe essere chiamata “Piazza pulita”. Pulita dalle armi di Hamas, pulita dai terroristi, pulita dalle ong, pulita dalle case di chi abitava la Striscia di Gaza, pulita dagli umani trattati come meno che umani da due anni di bombardamenti e altre operazioni militari, che nelle dichiarazioni dovrebbero tutte essere dirette contro Hamas ma che nei fatti colpiscono i palestinesi e tutti coloro che li sostengono nelle loro legittime pretese di avere una terra dove abitare in pace.
Netanyahu e i suoi ministri fanatici e ottusi – usiamo a proposito la parola “fondamentalisti” – non si stanno rendendo conto che stanno preparando un futuro tragico per gli israeliani, che si stanno richiudendo da soli nella loro prigione, che pur si allarga per opera dell’Idf e dei coloni oltranzisti sempre più armati fino ai denti.
Nello stesso tempo, stanno facendo crescere l’odio nei loro confronti nel mondo intero, come testimoniano sia le migliaia di manifestazioni ProPal che si accendono un po’ ovunque, o la vittoria dei contestatori spagnoli che hanno costretto la Vuelta a ridimensionarsi. L’antisemitismo, purtroppo, rischia di crescere – anzi, già cresce – e di diventare incontrollabile nell’attuale contingenza. Netanyahu e soci sono riusciti a inimicarsi persino le monarchie del Golfo Persico, andando a bombardare i rappresentanti di Hamas nel centro di Doha, in Qatar: gli Accordi di Abramo sono ormai carta straccia.
Chi potrà fermare la carneficina che sempre più assomiglia a un genocidio – se continua così, tale pericoloso termine dovremo usarlo con cognizione di causa, come ormai l’Onu raccomanda –, chi potrà portare un po’ di umanità nei cuori dei politici israeliani, più che dei militari, nei cuori di coloro che sostengono il governo di guerra? Per il momento nessuno, solo un moto di umanità nel cuore di chi vuole cacciare due milioni di palestinesi dalla Striscia potrebbe far cambiare il corso delle cose.
Giobbe era ebreo: chissà che la lettura delle sue invocazioni non commuovano il cuore di Benjamin, Itmar e Bezalel. Chissà che qualche immagine di bimbi palestinesi trucidati mentre facevano la fila per un pugno di riso non induca alla ragione chi evidentemente sragiona.
Se civile è colui che abita la civitas, e cerca in tutti i modi di rendere la convivenza dei cittadini migliore, più umana, il governo israeliano e coloro che li appoggiano sono etimologicamente incivili nel loro disegno di distruggere la città di Gaza City. Giobbe era ebreo, Giobbe rimane ebreo nei genitori degli ostaggi, Giobbe è palestinese ormai.