Gianni Minà, il mondo nel cuore

Il giornalista che ha intervistato quasi tutti. Un maestro del giornalismo, curioso, appassionato del suo tempo, attento ai Sud del mondo, alle masse degli esclusi e dei poveri. Ci ha lasciato a 84 anni
Gianni Mina (AP Photo/Luca Bruno)

È stato uno dei primi giornalisti ad infrangere quella distanza professionale con le persone intervistate che tutti, con un microfono in mano, osservavano per non farsi coinvolgere, per restare freddi e obiettivi. Secondo Gianni Minà, invece, il giornalismo deve bussare alle storie delle persone, entrare in empatia con i personaggi, trasmettere sicurezza e serenità, competenza e autorevolezza.

Per Minà il giornalismo è passione, coinvolgimento, impegno culturale. Minà non è stato il reggi-microfono dei Vip, ma l’intervistatore del mondo.

Una vita di interviste quella di Gianni Minà, nato a Torino il 17 maggio del 1938 da una famiglia siciliana e morto il 27 marzo 2023 a 84 anni, universalmente compianto. Innumerevoli i suoi incontri: da Fidel Castro al Subcomandante Marcos, da Maradona a Muhammad Alì (Cassius Clay).

Con il Sudamerica nel cuore, ma non solo: curioso e appassionato del suo tempo, amava insieme allo sport, il cinema, la letteratura, la musica. Un Maestro del giornalismo che aveva una qualità rara: era sempre attento ai Sud del mondo, alle masse degli esclusi e dei poveri. Aveva infatti uno spiccato senso di giustizia sociale e anche per questo amava tantissimo la letteratura sudamericana, soprattutto Gabriel Garcia Marquez, perché spesso cantava il dolore e la disillusione degli emarginati.

Minà, guidato da un carattere esuberante e da una grandissima preparazione culturale, ha iniziato la carriera da giornalista nel 1959 al giornale Tuttosport (di cui fu poi direttore dal 1996 al 1998). Nel 1960 esordisce in Rai collaborando alla realizzazione dei servizi sportivi sui Giochi Olimpici di Roma. Arrivato a Sprint, rotocalco sportivo diretto da Maurizio Barendson, a partire dal 1965 si occupa di documentari e inchieste per numerosi programmi, tra cui Tv7, AZ un fatto come e perché, Dribbling, Odeon Tutto quanto fa spettacolo e Gulliver.

Con Renzo Arbore e Maurizio Barendson fonda L’altra domenica, programma fra musica e sport, controcanto ironico e spensierato dell’allora Rete 2 (oggi Raidue) alla più tradizionale Domenica in trasmessa nella stessa fascia oraria sulla Rete 1 (oggi Raiuno). Nel 1976 Minà viene assunto al ‘Tg2’ diretto da Andrea Barbato.

Nel 1981 vince il Premio Saint Vincent in qualità di miglior giornalista televisivo dell’anno. Dopo aver collaborato con Giovanni Minoli a Mixer, debutta come conduttore di Blitz, programma di Raidue di cui è anche autore, che accoglie ospiti come Eduardo De Filippo, Federico Fellini, Jane Fonda, Enzo Ferrari, Gabriel Garcia Marquez e Muhammad Alì.

Minà ha diretto la rivista letteraria Latinoamerica e tutti i sud del mondo. Collaboratore di tanti quotidiani come La Repubblica, l’Unità, Corriere della Sera e Manifesto, ha scritto numerosi libri, tra cui: Il racconto di Fidel (1988), Un continente desaparecido (1995), Storie (1997), Un mondo migliore è possibile. Da Porto Alegre le idee per un futuro vivibile (2002), Politicamente scorretto (2007), Il mio Alì (2014), Così va il mondo. Conversazioni su giornalismo, potere e libertà (2017, con G. De Marzo), Storia di un boxeur latino (2020) e Non sarò mai un uomo comune (2021). Sono libri nei quali Minà ha riversato fedelmente tutta la sua esperienza umana e professionale.

Minà ha seguito otto Mondiali di calcio e sette Olimpiadi, oltre a decine di campionati mondiali di pugilato, fra cui quelli storici dell’epoca di Muhammad Ali. Nel 1987 diventa famoso in tutto il mondo per un’intervista di sedici ore con Fidel Castro, il presidente cubano, per un documentario da cui viene tratto un libro: il reportage intitolato Fidel racconta il Che.

In un’intervista al Corriere della Sera Minà spiegava così l’affetto di personaggi intervistati e che poi erano entrati nella sua vita: «Credo sia una questione di intimità. Io ho i modi che soddisfano le relazioni umane. E quando mi dicevano no, non insistevo».

Il giornalista che ha intervistato quasi tutti, dai Beatles al Subcomandante Marcos, aveva confidato al quotidiano che il suo rimpianto era non aver intervistato Nelson Mandela: «Ci eravamo messi d’accordo e mi aveva invitato in Sudafrica. Poi dovetti rinviare per tre-quattro giorni e non siamo più riusciti a vederci».

Massimo Troisi (che il giornalista stimava tantissimo come Pino Daniele) diceva con divertente invidia che l’agenda telefonica di Minà pesava un chilo, tanti erano i suoi contatti: vuole chiamare Castro? Vede alla “F”, Fidel… e lui gli risponde. Ecco, le parole di Troisi descrivono bene quest’uomo in “connessione” con tutti, immerso nel presente, sempre attivo, a caccia di testimonianze, e lui stesso testimone privilegiato di questo tempo così difficile.

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