Giambattista Tiepolo, maestro della luce

Pittore musicale, anzi “sinfonico”, celebrato, l'artista veneto esprime la gioia di essere al mondo, vivi, con spontaneo ottimismo

Il 27 marzo 1770 a Madrid, mentre sta dipingendo l’immenso affresco delle glorie monarchiche nel Palazzo Reale, Giambattista Tiepolo, a 74 anni, muore. Non se lo aspettava nemmeno lui, pensava di tornare a Venezia, la sua città. Da dove partiva ogni tanto per l’Europa, uno dei maestri in viaggio continuo che i potenti del Settecento si contendevano. Poeti come il Metastasio a Vienna, vedutisti come Canaletto e Bellotto a Londra, musicisti come Boccherini in Spagna, Vivaldi e Salieri a Vienna, commediografi come Goldoni a Parigi. E lui Giambattista, sempre pronto a correre per il Veneto e la Lombardia, fino a Wurzburg in Germania a dipingere  un altro immenso affresco celebrativo nella residenza del principe arcivescovo.

Che uomo, Giambattista, sposato con la sorella del pittore Francesco Guardi e padre di Giandomenico altro grande artista, e che arte. Cieli sterminati, azzurri, colori di una primavera fresca e di una estate calda, mai autunno e inverno. Storie mitologiche di divinità, storie di Alessandro Magno e Antonio e Cleopatra. Dee e dei floridi vita su soffitte e tele esuberanti.  Oggi Tiepolo sarebbe uno scenografo come Pierluigi Pizzi o un regista di fiction in costume? Difficile dirlo.

Certo, l’uomo ha la mano svelta e leggera.  C’è una vaporosità nelle opere, una eleganza, qualcosa che assomiglia al cristallo. Si sente che ama il Veronese, il grande artista rinascimentale dai costumi sfarzosi, dalla gioia di vivere, con le immense Cene evangeliche fastose e “veneziane”.

Giambattista Tiepolo però ha qualcosa di diverso. È un autore di teatro. Chi va a Vicenza, sul colle dove sorge Villa Valmarana ai Nani e ammira le storie tratte dall’Iliade e dalla Gerusalemme liberata – Rinaldo che lascia Armida, il Sacrificio di Ifigenia…– , rimane affascinato dal colore rugiadoso, dai sentimenti idilliaci, dalla tristezza dolce e dalla tragedia che però finirà bene. Tutto è luminoso, aereo, sereno: ottimista.

E chi va ad Udine – “città del Tiepolo” cui dedica una mostra fino a metà settembre – nella Galleria dell’Arcivescovado,  resta incantato davanti alle scene di Rachele che nasconde gli idoli o dei Tre angeli che appaiono ad Abramo, vestiti di luce.

La luce è la vera poesia del Tiepolo, la sua natura più affascinante. Colora le ombre, dà voce ai sentimenti.

A Venezia nella chiesa di sant’Alvise dipinge la Passione di Cristo. La tela dell’Andata al Calvario è sincera, mai superficiale. Il Cristo in rosso e blu acquerello è realmente sfinito ed intorno la folla variopinta dai costumi fiabeschi è come il coro di un teatro musicale come nelle Passioni di Bach, intorno al solista dolente, cioè il Redentore.

Nelle numerose opere devote – l’Immacolata candida e bellissima a Madrid (Prado), le pale d’altare, le estasi dei santi – Tiepolo non è decorativo, ci crede. Canta, come la musica zampillante di Vivaldi, il dolore, l’amore, la gloria con la medesima facilità narrativa e purezza di sentimento dei soggetti profani.

A Milano, a Palazzo Clerici, affresca sulla volta La corsa del carro del Sole, aprendo spazi infiniti e raggianti, lo scoppio di una luce aurorale che più candida non si può. È il paradiso che ci scende addosso. Come a Stra nella sterminata Villa Pisani dove celebra la    gloria del casato nell’azzurro  più sereno e incredibile.

Pittore musicale, anzi “sinfonico”, celebrato, pagato, Tiepolo chiude la stagione dell’arte veneta in luce, così com’era nata.

Quale la natura, l’essenza di questa luce? È la gioia di essere al mondo, vivi, con spontaneo ottimismo. Perchè la vita, pur con il dolore, è cosa bellissima.

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