George Floyd, il mondo dello sport si mobilita

Il caso Floyd rappresenta l’ennesimo episodio di violenza della polizia contro cittadini di colore negli Usa: sdegno e proteste hanno unito gli sportivi di molte discipline.

Sono passati dieci giorni dall’assurda morte di George Floyd. Lo scorso 25 maggio il 46enne viene fermato dalla polizia di Minneapolis, con l’accusa di aver acquistato delle sigarette utilizzando una banconota falsa. Il tutto avviene senza particolari resistenze: nonostante ciò, i poliziotti utilizzano metodi di una violenza inaudita. L’arrestato è fatto sdraiare faccia a terra e l’agente Derek Chauvin, inquadrato dai video di molti passanti, grava con un ginocchio sul collo di Floyd mentre quest’ultimo ripete: «I can’t breathe»,  cioè «non respiro». Una frase che diventerà l’emblema di questa ennesima tragedia e delle successive proteste che attraverseranno il Paese, dopo la notizia della sua morte in ospedale.

Da Mayweather al Liverpool, lo sport si fa sentire

L’eco e il profondo turbamento derivanti dalle scene appena descritte hanno ovviamente toccato anche il mondo dello sport, con una differenza sostanziale rispetto al passato. Stavolta, infatti, la protesta non ha riguardato soltanto i grandi campioni afroamericani, ma si è allargata a livello globale, portando ad esempio alla mobilitazione di molte squadre di calcio e dei loro tesserati, anche a livello personale. L’ex pugile Floyd Mayweather ha compiuto senza dubbio il gesto più importante, pagando le esequie di George Floyd ed entrando direttamente in contatto con la famiglia per esprimere vicinanza e solidarietà. Passando al calcio europeo, invece, il ruolo da apripista è spettato a una squadra che in questi ultimi anni ha spesso fatto la differenza in tal senso. Lo scorso 1 giugno i 29 giocatori del Liverpool sono stati fotografati in ginocchio attorno al cerchio di centrocampo, nella tipica posa di protesta del movimento Black Lives Matter. Il capitano dei Reds Jordan Henderson, sul suo profilo Instagram, ha aggiunto a corredo la frase “l’unione fa la forza”: un messaggio “re-postato” dalla società inglese con un pugno chiuso.

Il #BlackoutTuesday 

I campioni d’Europa in carica hanno fatto da apripista per la protesta globale scattata il giorno successivo. Si tratta del #BlackoutTuesday: un messaggio di solidarietà che nasce dalla volontà di fermarsi a riflettere, pubblicando all’interno dei canali social una foto nera. Un’idea sposata dalla NBA e dai suoi grandi campioni come Le Bron James e Stephen Curry, passando poi per Usain Bolt, il più forte velocista della storia. Anche il calcio si è mobilitato come non mai: da Dybala a Neymar, proseguendo con Aguero e Messi, sono tanti gli atleti che hanno “oscurato” i propri profili. Mario Balotelli, invece, ha pubblicato una foto in cui si è inginocchiato a terra, alzando il pugno destro: l’attaccante del Brescia si è anche fatto tatuare la scritta “Black power” sul viso. Tra i club, Milan e Sampdoria hanno aderito all’iniziativa, mentre Roma e Torino hanno seguito l’esempio del Liverpool: giallorossi e granata sono stati fotografati in ginocchio, supportando così il movimento Black Lives Matter.

Proteste veementi e simboliche sono anche quelle che arrivano dalla Bundesliga, unico tra i grandi campionati che attualmente ha ripreso a giocare. Jason Sancho e Achraf Hakimi del Borussia Dortmund hanno mostrato sotto la divisa ufficiale una maglietta con la scritta “giustizia per George Floyd”: Weston McKennie dello Schalke 04 ha indossato una fascetta al braccio, mentre Marcus Thuram (Borussia Monchengladbach) ha esultato dopo un gol inginocchiandosi in campo. La Federcalcio tedesca ha aperto un’inchiesta su questi gesti, con l’intento di verificare se i giocatori abbiano infranto la regola di mostrare slogan politici, religiosi o personali. Il presidente della federazione Fritz Keller però ha immediatamente spento le polemiche, affermando: «Le vittime del razzismo hanno bisogno di tutti noi per mostrare solidarietà».

L’affondo di Lewis Hamilton               

Fa riflettere, infine, il grido d’allarme lanciato dal sei volte campione del mondo di Formula Uno Lewis Hamilton. L’inglese ha lanciato dal suo canale Instagram un attacco senza mezzi termini, dichiarando: «Dalla F1 nessun segnale, il mio è uno sport dominato dai bianchi. Vedo quelli di voi che stanno zitti. Alcuni sono anche molto famosi, ma preferiscono tacere dinanzi a questa ingiustizia. Io sono uno dei pochi di colore in questo mondo e sono solo». La presa di posizione di Hamilton ha spinto anche il canale ufficiale della F1 a una risposta: «Siamo con te, e con tutte le persone che lottano contro il razzismo: è un male da cui nessuno sport e nessun settore della società è immune, ed è solo insieme che possiamo opporci e sradicarlo». L’onda del cambiamento, seppur con grande lentezza, ha iniziato a toccare anche i ricchi sport motoristici.

 

 

 

 

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