Gen rosso & friends:in attesa dell’aurora

Il nuovo album del Gen Rosso è – come si legge sul retro della copertina – “un progetto musicale di solidarietà tra popoli, culture, religioni, ispirato al Libro dei Salmi”. Sgombriamo subito il campo da equivoci: Voglio svegliare l’aurora (San Paolo Multimedia-Sony Music) non è una rilettura moderna dei Salmi. Fortunatamente” Piuttosto è un tentativo di ribadirne l’attualità e l’universalità del messaggio sempiterno che da questi scaturisce. A cominciare dalla forza ecumenica racchiusa in versi che hanno saputo attraversare la Storia degli uomini senza nulla perdere in fascino e significato. Ne deriva allora che il valore dell’impresa sta soprattutto nella sua capacità di sostanziare tali premesse. Un azzardo comunque legittimo per un gruppo da sempre ispirato ai valori cristiani, sulle scene da quasi quarant’anni, con 50 album alle spalle e milioni di aficionados sparsi ai quattro angoli del globo. Progetto ecumenico, dicevamo. A cominciare dalla presenza di ospiti del calibro di Miriam Meghnagi (etnomusicologa ed interprete ebrea), del curdo musulmano Said Abdulla, o i due musicisti indù Asok Chakraborty e Gaurav Mazumdar, entrambi indiani. Ma non mancano anche contributi di giovani talenti nostrani come Rosalia Misseri (apprezzata nella recente Tosca di Dalla), Christian Gravina (il Frollo del N ô t r e – Dame di Cocciante), la cantautrice Chiara Grillo, i vocalist Peppe Lacommare dei Suddando e Emmanuela Viara, il sassofonista Carlo Cattano e l’arrangiatore Emanuele Chirco. Da qui un altro connotato fondamentale di questo lavoro: un approccio corale alla materia che da ciascuno sa trarre nutrimento creativo, in un continuo crossover stilistico che spazia dal pop all’etnomusic, dall’acid-jazz al progressive, dalle scale arabe a quelle gregoriane. In questa logica non mi pare azzardato affermare che Voglio svegliare l’aurora potrebbe segnare una svolta decisiva nella storia del Gen Rosso completandone, per così dire, la “vocazione”: che a parer mio non è tanto o soltanto quella di un autarchico e dignitoso galleggiamento sui mercati della cosiddetta christian-music, quanto quella – assai più grande e preziosa in verità – di farsi catalizzatore di idee e di progetti aperti a quanti ne condividono anche solo in parte gli ideali e le speranze; nel music-business odierno ce ne sarebbe un gran bisogno, ed ho il forte sospetto che i nostri siano tra i pochi ad averne il know-how. Me lo conferma anche quanto affermato nella presentazione: “è una sorta di autobiografia dell’Adamo che c’è in ciascuno di noi. L’aurora, simbolo di novità, racchiude un forte anelito verso tutto ciò che è migliore, che verrà domani se ciascuno ne costruisce già oggi le premesse”. Ecco perché la forza di questa impresa trascende il valore formale di quanto offerto. E non è certo un caso se entusiastici commenti siano giunti da personaggi così diversi tra loro come Mogol e Sergio Zavoli, il Cardinal Martini e il rabbino capo di Milano Giuseppe Laras, così come tutt’altro che casuali sono le iniziative di solidarietà legate all’album (un progetto socio-sanitario in Congo, e il sostegno alle attività di dialogo interculturale del “Centro La Pira” di Firenze). Chiudo con un augurio, quello sottinteso dalle parole che il gruppo stesso ha scelto per chiudere l’introduzione: “Nessuno può anticipare l’aurora che viene. Ma se un interruttore ci fosse, vorremmo essere pronti a fare click”.

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