Gaza vista da altrove

Difficile discorso, ma necessario, quello sullo sguardo che gran parte dei Paesi non allineati al pensiero occidentale pone sulla crisi tra Israele e Hamas
Manifestanti Houthi durante una protesta contro Usa e Israele a supporto del popolo palestinese, in Sana'a, Yemen, 01 marzo 2024. Ansa EPA/YAHYA ARHAB

Sgombriamo il campo dagli equivoci: primo punto, l’antisemitismo, e ancor più il negazionismo stupido della Shoah, è una piaga che va combattuta con ogni mezzo, così come – secondo punto − i comportamenti terroristici di Hamas, e quindi anche quanto compiuto il 7 ottobre 2023, al saldo del non ancora completo quadro dell’evento: chi era al corrente di quello che sarebbe successo? Terzo punto, non si può accettare l’idea, propugnata da non pochi arabi, che Israele non abbia diritto all’esistenza. Corollario di queste tre convinzioni: le altre due religioni del libro, Islam e cristianesimo, dovrebbero sempre avere un’attenzione particolare alla tradizione ebraica, che le ha precedute e che offre loro adeguati indirizzi teologici.

Chiarite queste tre premesse, e quindi mettendosi al riparo da critiche al riguardo, l’attuale crisi di Gaza richiede un’attenta analisi, per evitare che antisemitismo, apologia del terrorismo e negazione del diritto del popolo ebraico a una patria prendano nuova forza. L’analisi è più che necessaria, perché questi tre problemi sono attualissimi, sapendo che l’opinione dominante al di fuori di quello che definiamo mondo occidentale è risolutamente antisraeliana, e di conseguenza antistatunitense e antieuropea, seppure in misura molto minore a proposito del Vecchio continente.

Senza scandalizzarsi nel dirlo, tali sentimenti raggiungono spesso inaccettabili livelli di intemperanza, fino a diventare vero e proprio odio contro un sistema che proteggerebbe Israele e la sua azione. Le pubbliche dichiarazioni del presidente sudafricano, di quelle del suo omologo brasiliano sono assai chiare al riguardo: le società non allineate al pensiero occidentale sono scandalizzate da quello che sta succedendo a Gaza e nei Territori palestinesi. Che l’assassinio di cento affamati sia definito «uno spiacevole contrattempo» non è tollerabile da chi pretende di vivere in un contesto civile. Mi si dirà: siamo in guerra, e in guerra ogni menzogna e ogni violenza sono concesse. No, il nostro mondo ha elaborato alcune convenzioni che non possono e non debbono essere disattese.

Si è discusso al Tribunale internazionale sui crimini di guerra dell’Aia delle accuse di genocidio rivolte ad Israele, accuse che non sono state totalmente scartate semplicemente per le inequivocabili dichiarazioni di un certo numero di esponenti politici di estremismo religioso attigui al governo in Israele. Non credo vi siano gli estremi per parlare di un genocidio sistematico e programmato avente come scopo l’estinzione del popolo palestinese, ma una serie di comportamenti israeliani in questa ennesima crisi a Gaza non possono che suscitare gravi allarmi.

Che un milione e più di persone siano schiacciate contro la barriera di Rafah, stretti tra l’esercito egiziano che vuole a tutti i costi impedire che i palestinesi sconfinino nel Sinai − la storia ormai insegna che il sionismo più spinto aveva previsto di entrare nel territorio che sarebbe diventato Israele con la prospettiva di spingere i palestinesi oltre i confini da loro voluti dal nuovo Stato − e l’esercito israeliano che come obiettivo primario dichiarato ha la dissoluzione di Hamas, non è francamente tollerabile per questioni se non altro umanitarie, oltre che politiche. Semplicemente tutto ciò non è giustificabile con nessun trattato internazionale. I 30 mila morti palestinesi non hanno meno importanza degli 859 civili, dei 278 soldati e dei 57 membri delle forze dell’ordine israeliani del 7 ottobre. Persino il moderatissimo segretario di Stato Vaticano Parolin è stato contestato dallo Stato israeliano per aver messo in dubbio l’entità della reazione israeliana all’attacco di Hamas, da lui definito «sproporzionato».

Ecco, il sentire della grande maggioranza delle popolazioni mondiali si avvicina più alle parole del prelato cattolico che ai comunicati stampa dell’IdF, cioè dell’esercito israeliano. Non si può ignorare questo dato di fatto, che non promette nulla di buona a proposito delle tre recrudescenze ricordate all’inizio dell’articolo. Tali opinioni, per giunta, sono condivise dalla maggioranza dei giovani europei, che non accettano di sottostare all’opinione dominante nei media occidentali, che hanno posizioni quasi esclusivamente filoisraeliane.

Fortunatamente, la democrazia israeliana al suo interno ha una forte presenza di uomini e donne che non accettano la strategia dell’attuale governo di Tel Aviv-Gerusalemme, e che con ogni probabilità cacceranno Netanyahu dal potere non appena l’attuale guerra sarà terminata. È evidente come l’attuale premier abbia tutto l’interesse a continuare la guerra nella regione per non cedere il potere. Sarà troppo tardi quando verrà sostituito? Antisemitismo, apologia del terrorismo e negazione del diritto all’esistenza dello Stato d’Israele avranno raggiunto un livello di difficile contenimento? La costruzione del muro di sicurezza tra Israele e Territori palestinesi ha sicuramente creato un’enorme prigione a cielo aperto tra i palestinesi, ma anche dal lato israeliano. Mai dimenticarlo: questa guerra rischia di accentuare le condizioni di confinamento e isolamento in queste due prigioni a cielo aperto.

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