Gala Balanchine

Ideato dall’Opera di Roma in omaggio al grande coreografo, il Gala oltre al pregio di riprendere due rarità, La chatte (1927) e Le bal (1929), ha offerto la possibilità di comprendere quanto varia sia stata la sua cifra coreografica al cospetto di tre diversi compositori: Henri Sauguet, Vittorio Rieti e, nel mezzo, Stravinskij, il più amato collaboratore, con il celebre Apollon Musagète (1928). Dei primi due balletti abbiamo ammirato soprattutto le scene e i costumi. La fiaba di Esopo dove un giovane si innamora di una gatta, è ambientata dentro una scenografia di acciaio e plexiglass dal design moderno. Per il surrealista Le bal, invece, sono stati ricostruiti i fondali di De Chirico: disegni di architetture e rovine antiche; e poi manichini, silfidi, statue animate. In un solare salone da ballo, un ufficiale corteggia una donna. Toltasi la maschera, ella rivelerà però un volto da vecchia. Più tardi, sotto un’altra maschera, mostrerà il suo vero, bellissimo volto. Ma fuggirà su un bianco cavallo, lasciando svenuto il giovane ingannato. Ma il migliore Balanchine lo si incontra quando non racconta, e vira sull’astratto. Il balletto è arte autonoma – ripeteva – che non narra nient’altro che sé stessa e, essendo immagine, non ha bisogno di spiegazioni verbali. Determinante il lungo sodalizio artistico con Stravinskij. Abbandonato il periodo barbaro dei primi anni del Novecento, il musicista russo approdava al classicismo, col recupero del passato e il distacco dagli orrori della vita: Apollo riprende il potere sulle Muse in nome dell’ordine e della bellezza. Sullo spazio vuoto e azzurro con solo una scala per l’ascesa del dio sull’Olimpo, l’Apollon conserva un’ingualcibile freschezza che ne fanno un capolavoro. La danza di Balanchine si fa ironica e atletica, priva di malinconia, tranne nel sussiego divino di Apollo che gioca con le sue tre muse. A far risplendere l’anima e l’ossatura di pura danza neoclassica, due giovani straordinarie promesse pietroburghesi: Adrian Fadeyev e Larisa LezhninaIl.

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