Gabbani, fenomenologia di un successo

“Occidentali’s Karma” ha stravinto l’ultimo Festival di Sanremo ed è uno dei tormentoni della stagione in corso: ad immagine e somiglianza del Paese che gli gira intorno.

In quest’Italia devastata dai terremoti e sfiancata dalle diatribe politiche; in questo Belpaese depresso dalla crisi e alle prese con miriadi di problemi, il baffuto Gabbani Francesco da Carrara s’è infilato come una palla da flipper nell’immaginario nazional-popolare, mandandolo quasi in tilt. Un motivetto semplice e frizzantino, un ritmo irresistibile senza essere straniante, un testo che pare fatto apposta per riflettere l’andamento ondivago di una realtà sociale sempre più globalizzata e smarrita, incluse certe sue ridicole banalizzazioni di millenarie culture orientali. Et le voilà: ecco come un emergente di buon talento si trasforma nel profeta dell’effimero contemporaneo, la dove tutto sfugge e svicola come un’anguilla, dove le post-verità s’intersecano in un coacervo di nientitudini, là dove un Paese intero non sa più a quale santo affidarsi o quale saltinbanco votare.

Occidentali’s Karma è la fotografia perfetta di tutto questo, così come Gabbani si propone come l’incarnazione più credibile di una generazione compressa e frustrata dalla crisi, ma non ancora domata, ancora vogliosa di futuro e di spendersi per non lasciarsi schiantare dalle magagne di quelle che l’hanno preceduta.

Se Che Sia Benedetta della Mannoia sembra l’incarnazione dell’ottimismo della volontà (quello gramsciano beninteso, non certo quello craxiano), allora il brano di Gabbani potrebbe piuttosto materializzare la liquidità così ben raccontata da Zygmunt Bauman, le regressioni primatesche raccontate dal socio-zoologo Desmod Morris, ma anche il “panta rei” coniato da Eraclito duemilacinquecento anni fa, e non di meno, questo nostro continuo annaspare fra le onde di un presente senza appigli o approdi sicuri. Fin dall’incipit: “Essere o non essere, il dubbio amletico contemporaneo come l’uomo del neolitico”. Ce n’è per tutti: “Intellettuali nei caffè, internettologi, soci onorari al gruppo dei selfisti anonimi. L’intelligenza è demodè, risposte facili, dilemmi inutili…”. Sembra l’implacabile istantanea del panorama mass-mediatico odierno: l’impero del futile eletto a sistema comunicativo, a monumento autoreferenziale, a surrogato di vita. A dirci che il Re è nudo, e balla in una specie di pericoloso autoavvitamento a due passi da un dirupo: lo stesso intorno al quale troppi stanno oggi allegramente banchettando.

Quando ho avuto occasione d’incontrarlo (a Community, il programma di Rai Italia per il quale lavoro), il buon Francesco m’ha dato l’impressione di essere ancora a metà del più insidioso dei guadi: quello che separa i miraggi dell’adolescenza perenne dalle redini dell’età adulta. Almeno in questo senso mi dà ancora l’impressione d’essere un trentaquattrenne come tanti, con la differenza che sta vivendo inebriato dai gas frastornanti del “grande botto” e nella frenesia che precede l’uscita – ovviamente attesissima – del suo nuovo album e del prossimo tour estivo. Mentre il singolo succitato sta imperversando in ogni dove (parodie comprese) ed è entrato in classifica in ben 15 nazioni, il Nostro è atteso a Kiev a rappresentare l’Italia al prossimo Eurovision Song Contest; il suo nuovo lavoro uscirà tra qualche settimana e si può ben dire fin d’ora che è destinato a segnare questa annata discografica. Buon proseguimento a lui, e anche a noi…

 

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