Il G20 sospende il debito dei Paesi più poveri

A causa dell'emergenza coronavirus, il G20 virtuale dei ministri dell’Economia e dei governatori delle banche centrali ha stabilito che vengano rinviati i rimborsi per uno e forse due anni. Serve coraggio per far qualcosa di più

La notizia: i Paesi più poveri del mondo quest’anno non dovranno pagare i loro debiti. Il G20 mondiale, riunitosi virtualmente, ha accolto l’invito formulato dal G7 di martedì che auspicava una moratoria a livello mondiale. «Sosteniamo una sospensione temporanea dei pagamenti a servizio del debito per i Paesi più poveri», hanno scritto i membri del G20. La moratoria è stata accolta anche dal Club di Parigi, una organizzazione che riunisce i Paesi creditori. Ancora, il G20 auspica che aderiscano all’accordo anche le istituzioni private che hanno crediti con Paesi poveri.

Lo scopo dichiarato è quello di permettere ai Paesi più poveri di investire quando dovevano restituire in un’efficace lotta contro la pandemia. La sospensione dei pagamenti riguarda il periodo maggio-dicembre 2020, ma c’è un’opzione per una proroga anche per il 2021. Tale sospensione comprende 76 Paesi, di cui 40 dell’Africa subsahariana. Si tratta di “briciole” rispetto alle centinaia e migliaia di miliardi messi in campo dai Paesi sviluppati per lottare contro il Covid-19: “solamente” 20 miliardi di dollari, che salgono a 32 comprendendo i debiti con istituzioni quali Fmi e Banca mondiale, che già si muovono in senso collaborativo.

Sembra che i messaggio di papa Francesco e di altre autorità morali mondiali comincino a produrre i loro effetti. Un applauso va certamente indirizzato al G7 e al G20, perché hanno saputo mostrare un volto insolito delle istituzioni economiche e finanziarie nazionali e internazionali: la comprensione, forse addirittura una certa misericordia pubblica. Ovviamente, nelle motivazioni di questo passo vi sono anche gli interessi particolari del Nord del pianeta, che teme le ricadute, economiche prima che umane, di un eventuale incontrollabile diffusione della pandemia nei Paesi più poveri, che sono per i Paesi più ricchi il principale bacino di materie prime e risorse energetiche, ma anche dei promettenti mercati per i loro prodotti.

E tuttavia, nella decisione presa certamente gioca anche il ripensamento dei grandi di questo mondo: dietro il cambiamento dei toni della propaganda social e delle misure concrete di politica sanitaria mostrate al mondo – obtorto collo – dai vari Trump, Bolsonaro, Johnson, Modi e compagnia bella, c’è stata la presa di coscienza di una nuova necessaria umiltà dei governanti nei confronti di fenomeni inattesi e non governabili con i nessi tradizionali della politica e dell’economia. E sicuramente ha pure influito la convinzione, maturata poco alla volta, forse troppo tardi purtroppo, che il fenomeno pandemico non è governabile avanzando in ordine sparso, ma con la collaborazione di tutti.

Ed ora perché non osare, e aspettarci che queste “dichiarazioni di umiltà” da parte dei potenti si traducano in un rafforzamento degli strumenti di collaborazione e cooperazione internazionali e transnazionali, di un rafforzamento delle istituzioni esistenti, di una maggior attenzione verso i popoli più poveri, di una più forte sensibilità solidaristica in vista del bene comune mondiale? Certo, esiste pure il rischio contrario, cioè una ricaduta rovinosa nei particolarismi, nei nazionalismi, nei sovranismi, negli esclusivismi, nelle reciproche demonizzazioni. Ma una tale scelta risulterebbe veramente antistorica.

 

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