Frei Hans e la “Fazenda da Esperanca”

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Fazenda, in Brasile, è la fattoria. Quella di cui parliamo è ora gestita da giovani, ragazzi e ragazze, spesso giovanissimi, che vivono in piccole comunità nelle case un tempo abitate dai coloni. Provengono da un passato di errori e di esclusione sociale. Della speranza, perché insieme vogliono provare a ridisegnare un presente ed un futuro diversi. Una speranza che giorno dopo giorno prende forma e si alimenta con l’apporto di tutti. Ma non solo in Brasile troviamo questo modello di comunità. Oltre alla Fazenda capostipite, nei pressi di Guaratinguetà, una cittadina di 40 mila abitanti nello stato di San Paolo, se ne sono aggiunte altre sette in vari stati del Brasile. Se infatti qualche lettore avesse l’occasione di recarsi a Gut Neuhof, una campagna appartata nei pressi di Berlino, o a Mosca, troverebbe un cartellone con la medesima scritta in portoghese: Fazenda da Esperança. E se gli capitasse di incontrare nell’una o nell’altra di queste fattorie un francescano dal volto gioviale, dalla corporatura robusta e dal cuore altrettanto generoso, e gli chiedesse come abbia fatto a realizzare tutto ciò uno come lui, senza un soldo in tasca, si sentirebbe rispondere tagliando corto che qui c’è di mezzo la provvidenza… . Si tratta di Hans Stapel per l’anagrafe, frei Hans per tutti. Nato in Germania, a Paderborn, Hans Stapel ha vissuto una giovinezza difficile e travagliata. La sua famiglia aveva perso tutto nella guerra, e lui stesso si era trovato sommerso da un mondo e da un’ideologia che promettevano un futuro di giustizia e di eguaglianza. Fu in quegli anni di ricerca, ancora studente, che il giovane si imbatté in una testimonianza cristiana autentica. La vide trasparire dalla vita di alcuni compagni di scuola, in contatto con i Focolari. Avevo trovato ciò che cercavo – racconterà più tardi -. Approfondendo lo spirito dell’unità, ho scoperto san Francesco e la mia vocazione. Prima ancora di essere ordinato sacerdote, fui mandato in Brasile e in seguito mi venne affidata una parrocchia a Guaratinguetà. . Il nuovo parroco spiegava il vangelo in modo semplice, con esempi tratti dalla sua vita, tra successi e sconfitte, che andavano dritto al cuore dei parrocchiani. Anche loro iniziarono ad incontrarsi per approfondire la Parola e scambiarsi le esperienze di vita. Nasceva così una comunità parrocchiale animata dallo spirito di comunione. Una notte, qualcuno bussa alla porta del parroco. Era una ragazza in attesa di un bambino, – prosegue padre Hans – e chiedeva da mangiare ed un posto per dormire. Immediatamente entrai in conflitto con me stesso: come può un prete ricevere nella sua casa, di notte, una ragazza così giovane e bella? Il vangelo non aveva dubbi al riguardo. Se san Francesco fosse qui, cosa farebbe? Feci entrare la ragazza, che si rifocillò e dormì fino a tarda mattinata. Qualche tempo dopo, tornò per ringraziarmi. Mi confidò che se io non le avessi aperto quella notte, il suo bambino non sarebbe mai nato. Da quell’episodio nacque una casa per ragazze-madri, sostenuta dalla comunità parrocchiale. I bisogni erano tanti; ragazzi senza famiglia, persone in difficoltà. Ma frei Hans non era solo. Sapeva di poter contare su tanti. Un giorno Nelson, un giovane del gruppo parrocchiale, gli presentò un ragazzo incontrato per strada. Cercava disperatamente di uscire dalla droga, e noi – continua padre Hans – non avevamo altro da offrirgli che ospitalità e proporgli il nostro stile di vita, ben diverso da quello a cui era abituato. È a questo punto che il religioso costata per la prima volta gli effetti – come dire? – anche terapeutici di un’esperienza di vangelo vissuta nell’apertura all’altro, al fratello. Giorno per giorno – ricorda – vedevamo che quel ragazzo tornava ad aver fiducia in sé stesso, a ritrovare il gusto delle cose semplici. Sarà l’inizio – ma allora frei Hans non lo sapeva – di qualcosa di nuovo. Non solo una comunità terapeutica, ma una nuova famiglia spirituale nella chiesa. La Fazenda A quel primo giovane se ne aggiunsero altri. Qualcuno offrì una fattoria abbandonata, situata nella pittoresca regione montuosa della Serra da Mantiqueira, poco distante dalla parrocchia. Frei Hans racconta: Noi non avevamo medici né medicine, e non era facile procurarseli. Nello stesso tempo, dovendo andare incontro a chi non poteva attendere, ci mettemmo all’opera con l’unico mezzo a nostra disposizione: la spiritualità di comunione. Cercammo in primo luogo di risvegliare nei giovani il dinamismo dell’amore cristiano. Nella Fazenda vivono in media 120-150 persone tra uomini e donne, in gruppi distinti, anche se si tro- vano insieme in molte occasioni. Nonostante i diversi e dolorosi cammini, sono accomunati dalla lotta per ricostruirsi un’esistenza diversa. Molti ci riescono, non senza l’aiuto dei compagni di cammino. César aveva deciso ad un certo punto di mollare. Dopo una discussione molto accesa con un compagno di stanza, cominciai a dubitare di me stesso, giacché – racconta – dopo nove mesi che stavo nella Fazenda, mi scoprivo ancora così violento. Trovavo che non avevo più bisogno delle cose che mi venivano insegnate lì. Quindi preparai il bagaglio. Me ne stavo sdraiato nella mia camera, quando un ragazzo, che cercava il coordinatore, mi domandò come mai avessi fatto le valigie. Gli risposi che avevo deciso di andarmene. Con un sorriso, mi chiese: Amico, se stai partendo per Rio, per la spiaggia, per la tua famiglia e per tutto ciò che ti piace, devi essere molto felice. Gli risposi che no, non lo ero affatto. E lui: Amico, scusami la franchezza, ma se te ne vai e non sei felice, allora te ne vai per bucarti…. Era la verità. Mi faceva male. Ma mi fece capire che non ero maturo per partire. César disfece le valige e rimase. Ora è uno dei migliori tutor della Fazenda, molto abile nell’accompagnare i giovani che intraprendono il programma terapeutico. Infatti alcuni responsabili vengono scelti tra gli ex drogati che si sono ripresi, naturalmente con la dovuta preparazione e un continuo accompagnamento. Il lavoro Ognuno ha la sua storia, la sua via crucis, spesso accompagnata dall’umiliante esperienza di sentirsi un rifiuto della società. Il lavoro diventa perciò un elemento molto importante nel processo di liberazione dalla tossicodipendenza. I giovani trovano impiego nei campi, nelle piccole officine, nelle piccole industrie. E quando sperimentano sperimentano il successo per un mobile ben rifinito o per un terreno che comincia a dare frutti, ritrovano la stima e la fiducia in sé stessi. Ogni casa, con il suo gruppo-famiglia, si mantiene col proprio lavoro (i giovani infatti vengono accolti gratuitamente nella Fazenda). Ed anche questo è importante, perché tanti di loro hanno perso l’abitudine a espletare un lavoro regolare, o non l’hanno mai fatto. Il lavoro, inoltre, è svolto in comune: altro aspetto importante, che apre alla corresponsabilità. In ogni gruppo ci sono sempre due responsabili più maturi. Questo modo di vivere insieme, di dare e di ricevere, di perdonare e di essere perdonati, tocca anche quei compagni più rudi. Col tempo fiorisce uno stile di vita familiare, un’atmosfera in cui – anche se non ne sono consapevoli – Gesù stesso si fa presente in mezzo a loro, secondo la promessa evangelica. E questo, forse, è il vero segreto del successo di questa esperienza. Oggi come ieri Gesù, che si fa presente fra i suoi, cura i suoi poveri nel corpo e nello spirito. Mi hanno dato di più Molti sono i seminaristi che – col consenso dei superiori – trascorrono nelle Fazendas un periodo di preparazione al sacerdozio. Al mattino frequentano i corsi di teologia e per il resto del giorno sono al servizio dei giovani in recupero. La tecnica? Vivere insieme a loro il vangelo. I risultati? Ecco cosa racconta Christian Heim, un seminarista tedesco: Ero andato in Brasile perché volevo dedicare un po’ del mio tempo ad attività sociali. Dopo quasi un anno e mezzo, ripartivo per la Germania, ma la mia vita non era più quella di prima. Ero andato in mezzo ai poveri ed ai disgraziati per aiutare, ma loro mi avevano dato di più facendomi scoprire la forza rivoluzionaria del vangelo nella società di oggi, con i problemi di oggi. Un altro brasiliano di nome César, ordinato prete da poco, esercita ora il suo ministero nella Fazenda di Neuhof, in Germania, e quando può aiuta il parroco del posto. Vive in carrozzella dall’età di 17 anni, ed ora ne ha 32. A chi gli si avvicina stupito dalla sua serenità e dalla sua gioia di vivere, volentieri questo prete in carrozzella racconta la sua storia. Ero già in seminario, quando mi ammalai di leucemia. Fu uno shock. Mi sostenne in quel periodo la vicinanza degli altri amici seminaristi che con me condividevano la spiritualità del Focolare. Venivano a trovarmi tutti i giorni in ospedale, e quello fu per me un periodo di maturazione spirituale. Guarii, ma purtroppo in conseguenza delle radiazioni mi ritrovai paralizzato alle gambe. Fu il crollo di tanti sogni e di tanti ideali: mai, in quelle condizioni, sarei potuto diventare sacerdote. La disperazione era totale, tanto che iniziai ad assumere droga. Degli amici mi proposero di trascorrere un periodo alla Fazenda da Esperança. Lì, a contatto con quei giovani che, avendo perso tutto, non si arrendevano, ritrovai la forza di vivere e di continuare a lottare per i miei ideali. Capii che per diventare sacerdote non occorreva avere delle buone gambe. Ne parlai al mio vescovo, e nel 2000 venni ordinato sacerdote. Ed ora eccomi qui, in Germania, ad esercitare il ministero nella Fazenda, col consenso del mio vescovo. Dove la speranza ha casa Usare parole grosse a Gut Nehuof, come in ogni altra Fazenda, non serve molto. Ma sono sensibili ai simboli, come le opere sacre di un connazionale di César, Evilazio Vieira che ha arredato la piccola cappella della fattoria servendosi di rifiuti: un tronco bruciato, una ringhiera arrugginita. A questo tipo di arte si sentono molto vicini. A sera, gli abitanti della Fazenda accorrono numerosi alla messa, che amano chiamare la cena dei peccatori. La maggioranza di loro – spiega don Enrico Pepe, che ben conosce la Fazenda di Guarantinguetà – non aveva più contatto col cristianesimo e men che meno con la chiesa. Ora, però, tanti sviluppano una sensibilità nuova verso la pratica cristiana. Certo, non si tratta di gente pia: sono uomini e donne di tutti i ceti sociali. Chi, venendo da fuori, assiste a queste messe, resta sorpreso dal clima denso di raccoglimento. Tutto questo tocca coloro che, all’inizio della terapia, vengono in chiesa senza impegno, cioè stando a guardare con un certo distacco. E non di rado si ridesta la fede assopita. Insomma, la Fazenda da Esperança non finisce di stupire. Non a caso, l’arcivescovo di Aparecida, card. Aloísio Lorscheider, nell’andare a far visita agli abitanti della Fazenda, non ha esitato a dire che qui il vangelo ha trovato casa, e con esso la speranza.

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