Fraternità Convincente

Da un paio d’anni, tra Campidoglio e Palatino, nel cuore della Roma repubblicana e imperiale, quella evangelizzata dai santi Pietro e Paolo, una antica chiesa del VI secolo aveva chiuso le sue porte. Niente più raccolte liturgie, niente più struggenti concerti di musica sacra, niente più rumorose visite turistiche. Pochi sapevano che quei cancelli serrati a doppia mandata volevano preparare un dono della Chiesa di Pietro alla Chiesa di Andrea. Papa Paolo VI aveva infatti promesso al patriarca Athenagoras I di destinare quel luogo di culto, la chiesa dedicata a san Teodoro Megalomartire, all’uso liturgico della comunità greco-ortodossa di Roma. Ed ora Giovanni Paolo II ha reso possibile la realizzazione della promessa del suo predecessore. Un dono, cioè un simbolo di quel dialogo della carità che sembra aver dato il la a tutta questa visita di Bartolomeo I nella città di Pietro e Paolo, proprio in occasione della loro festività, e nella ricorrenza del 40° anniversario dello storico incontro di Paolo VI e di Athenagoras I a Gerusalemme. Grande impressione hanno suscitato soprattutto nel corso della visita gli incontri tra il successore di Pietro e il patriarca ecumenico, simboli viventi dei due polmoni coi quali la chiesa di Cristo vive e deve sempre più vivere. Malattie e problemi non hanno impedito l’intensità di un abbraccio che è valso più di mille discorsi. Se nella precedente visita papa e patriarca avevano voluto mostrarsi nel balcone della basilica vaticana – e quest’ultimo aveva commentato al microfono: Col papa ci amiamo molto -, questa volta la sincerità e la carità del dialogo hanno dimostrato quanto l’affermazione del 1995 fosse vera. Un gesto per tutti: nella celebrazione del 29 giugno in piazza San Pietro, il patriarca ha usato l’evangelario latino, mentre il papa quello bizantino. Una mutua carità ora accompagnata da una benedetta franchezza: anche la dichiarazione comune, firmata dal papa e dal patriarca, non nasconde come, nel corso della visita, siano stati affrontati argomenti delicati: Il nostro odierno incontro a Roma – è scritto nella dichiarazione – ci permette anche di affrontare fraternamente alcuni problemi e malintesi che sono recentemente sorti. Problemi quali il dialogo teologico, che ha segnato, negli ultimi anni, il passo, o l’annosa questione dell’uniatismo, cioè della presenza dei cattolici di rito bizantino in terre d’Europa orientale a prevalente carattere ortodosso. Dialogo nella fraternità, come ha voluto ripetere il papa nel suo messaggio di congedo, al termine della visita del patriarca, che ci ha permesso – sono sue parole – di mostrare ai fedeli un segno vivo di fraternità e di confermare il proposito di progredire con decisione verso la meta della piena unità tra cattolici ed ortodossi. Fraternità nei gesti e nelle parole. A San Teodoro, nel corso e al termine della solenne liturgia – Thyranixion, viene chiamata in greco -, gli abbracci tra i cardinali Kasper e Ruini, il patriarca e il suo seguito è apparsa evidente a tutti, conferendo all’atmosfera surriscaldata e ancora impregnata degli effluvi delle vernici dei restauri un’aura di evangelicità fuori dal comune. Fraternità calorosa, anche nel saluto dato personalmente ai rappresentanti del Movimento dei focolari presenti. Fraternità anche nelle parole, come quelle pronunciate dal patriarca nella basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, dove ha incontrato la Comunità di Sant’Egidio: La via del dialogo – ha detto – porta all’amore pieno dell’uomo. Sottolineando poi, e così aprendo gli orizzonti oltre la cristianità, come il dialogo interreligioso è utile e porta alla comprensione tra i singoli e tra i popoli, smussando i contrasti e allontanando fanatismi e fondamentalismi. Esso consolida la pace. Ed ora? Il simbolismo delle visite che ogni anno le delegazioni vaticana e costantinopolitana si scambiano per le feste degli apostoli continua a tenere viva la volontà irrevocabile di dialogo (Bartolomeo I), come una risposta al comando del Signore (Giovanni Paolo II). Ma tale simbolismo necessita di un di più, perché, come ha ricordato il papa, la coscienza non ci rimproveri di aver omesso dei passi, tralasciato opportunità, non aver tentato tutte le strade. Ed allora? Nella dichiarazione congiunta si auspica la ripresa del dialogo teologico, il che è cosa più che auspicabile, dopo la battuta di arresto di Baltimora, nel luglio del 2000, provocata dal problema dell’uniatismo, e la ripresa del dialogo avvenuta con il simposio del maggio 2003 sul ministero petrino (1). Ma serve uno slancio rinnovato. E qui entra in gioco, se possibile con ancor maggior forza, lo Spirito che agisce nelle comunità cristiane. Per non vanificare i pur indispensabili progressi teologici, per risalire i contrasti accumulati e gli interessi secolari che ritardano la piena unità, come ricordava Bartolomeo I in piazza San Pietro, serve il concorso di tutto il popolo di Dio, d’oriente e d’occidente. Un popolo che sappia ritrovarsi nelle comuni radici evangeliche, come quello (abbondante) che si è stretto attorno al papa romano e al patriarca costantinopolitano nella festa dei santi Pietro e Paolo. Come quello (più esiguo, ma assai motivato) che si era stretto attorno al patriarca e al card. Kasper a Istanbul, nello scorso novembre, in occasione della festività di sant’Andrea, all’indomani dei delittuosi attentati terroristici di Istanbul. Un popolo di cattolici e di ortodossi. Dialogo della Carità Alcuni stralci della dichiarazione comune firmata il 1° luglio scorso da Giovanni Paolo II e da Bartolomeo I. Molti sono stati i passi positivi che hanno segnato il cammino in comune, soprattutto a iniziare dallo storico evento che oggi ricordiamo: l’abbraccio tra il papa Paolo VI e il patriarca Athenagoras I a Gerusalemme, sul Monte degli ulivi, il 5 e 6 gennaio del 1964 (…). Unità e pace! La speranza accesa da quello storico incontro ha nato il cammino di questi ultimi decenni. Consapevoli che il mondo cristiano da secoli soffre il dramma della separazione, i nostri predecessori e noi stessi abbiamo con perseveranza continuato il dialogo della carità, con lo sguardo rivolto a quel giorno luminoso e benedetto in cui sarà possibile comunicare allo stesso calice (…). Nonostante la nostra ferma volontà di proseguire nel cammino verso la piena comunione, sarebbe stato irrealistico non attendersi ostacoli di varia natura: dottrinali anzitutto, ma anche derivanti da condizionamenti di una storia difficile. Inoltre nuovi problemi sorti da profondi mutamenti avvenuti nella compagine politico-sociale europea non sono rimasti senza conseguenze nei rapporti tra le chiese cristiane. Con il ritorno alla libertà dei cristiani in Europa centrale e orientale si sono risvegliati anche antichi timori, rendendo difficile il dialogo. L’esortazione di san Paolo ai Corinzi: tutto si faccia tra voi nella carità, tuttavia, deve sempre risuonare dentro di noi e fra noi. La Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme, avviata con tanta speranza, ha segnato, negli ultimi anni, il passo. Essa può restare tuttavia strumento idoneo per studiare i problemi ecclesiologici e storici, che sono alla base delle nostre difficoltà, ed individuare ipotesi di soluzione. È nostro dovere continuare nel deciso impegno di riattivarne i lavori al più presto (…). Davanti ad un mondo che soffre ogni genere di divisioni e di squilibri, l’odierno incontro vuole richiamare in modo concreto e con forza l’importanza che i cristiani e le chiese vivano tra loro in pace ed in armonia, per testimoniare concordemente il messaggio del vangelo in modo più credibile e convincente (…). Tante sono le sfide da affrontare insieme per contribuire al bene della società: guarire con l’amore la piaga del terrorismo, infondere una speranza di pace, contribuire a sanare tanti conflitti dolorosi; restituire al continente europeo la consapevolezza delle sue radici cristiane; costruire un vero dialogo con l’Islam, poiché dall’indifferenza e dalla reciproca ignoranza può nascere soltanto diffidenza e persino odio; alimentare la consapevolezza della sacralità della vita umana; operare affinché la scienza non neghi la scintilla divina che ogni uomo riceve con il dono della vita; collaborare affinché questa nostra terra non sia sfigurata e il creato possa preservare la bellezza che Dio gli ha donato; ma, soprattutto, annunciare con rinnovato vigore il messaggio evangelico, mostrando all’uomo contemporaneo quanto il vangelo lo aiuti a ritrovare se stesso ed a costruire un mondo più umano. A COLLOQUIO CON CHIARA LUBICH Il Movimento dei focolari ha seguito passo passo i diversi momenti della visita a Roma di Bartolomeo I, per un sincero cointeresse iniziato sin dagli anni Sessanta, allorché Chiara Lubich incontrò ripetute volte l’allora patriarca ecumenico Athenagoras I. Il rapporto, proseguito poi con Dimitrios I, è ora sempre più intenso anche con Bartolomeo I. Culmine di tale rapporto è stato l’incontro personale, riservato dal patriarca ecumenico a Chiara Lubich, il primo luglio scorso, accolta all’arrivo alla Domus Sanctae Martae dal metropolita d’Italia, Gennadios Zervos. Nel corso del colloquio, aperto e cordialissimo, si è parlato delle attuali esigenze ecumeniche della comunità cristiana: si è sottolineato come non si possa più tornare indietro, perché è proprio il popolo cristiano che chiede la piena comunione. In questa direzione, tutte le iniziative atte a incrementare e tonificare il dialogo del popolo con una autentica spiritualità ecumenica sono da favorire. È inoltre con grande gioia che il patriarca ha comunicato la notizia che durante il prossimo incontro ecumenico di vescovi amici dei Focolari, a Istanbul, in occasione della festa di sant’Andrea nel prossimo novembre, egli ha invitato al Phanar Giovanni Paolo II.

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