Fratelli davanti a Dio

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Padre Christian Van Nispen, gesuita olandese, da 47 anni è in Egitto. Poliglotta mite e generoso, è uno dei maggiori conoscitori del Corano al mondo. La sua parola è lenta e riflettuta, sempre calorosa, mai polemica. È cattolico al cento per cento, ma proprio per questo sa aprirsi a chiunque, in particolare agli amati musulmani. Lavora per le Chiese cristiane in Egitto, in particolare in alcune istituzioni per il dialogo interreligioso. Fa parte della commissione di filosofia del Consiglio supremo egiziano, unico membro cristiano. Ogni anno – mi dice – organizziamo un pasto di rottura del Ramadan dai domenicani, per testimoniare che musulmani e cristiani siamo fratelli dinanzi a Dio. Questo – Cristiani e musulmani, fratelli davanti a Dio? – è anche il titolo del suo libro più conosciuto. Nel manoscritto originale – mi spiega – non c’era l’interrogativo, che l’editore ha poi voluto aggiungere per motivi di prudenza teologica. Aveva anche ragione, perché il sentirsi fratelli è sempre una conquista e mai una certezza. La preghiera musulmana Padre Christian ha pubblicato tanti libri sul Corano. Ma non è questo aspetto scientifico che più l’interessa. Mi interessa – prosegue – soprattutto investigare sulla preghiera musulmana e su quella cristiana, sulle loro somiglianze e sulle loro differenze. Perché la vita spirituale può essere punto di incontro tra fedeli delle due religioni. Ne sono convintissimo dopo tanti anni di ricerca e di impegno. Qualche tempo fa un’allieva, molto religiosa, si presentava da me sempre velata, ogni giorno con nuove domande sulla vita spirituale e sul Vangelo. A lei ho sottoposto un questionario sulla preghiera e l’esperienza spirituale musulmana. Mi ha dato delle risposte bellissime, che mi hanno confermato come i contatti tra musulmani e cristiani siano possibili, a condizione che si sia veramente dei fedeli della propria religione. Padre Christian ha poi dato lo stesso questionario, tra gli altri, a un giovane che veniva dalle file radicali, ma che ad un certo punto si era sentito in crisi intellettuale. Aveva allora cominciato a pregare col cuore, e aveva colto il senso profondo di quel colloquio con Dio che è la preghiera. O, ancora, a una donna siriana che faceva una tesi di dottorato al Cairo, dove era arrivata ripudiata dal marito assieme a due figli. Gli diceva: Ci sono differenze importanti tra Islam e cristianesimo, ma bisogna essere sinceri davanti a Dio e servire gli uomini. Possiamo essere insieme in paradiso. Padre Christian sta raccogliendo queste risposte in un libro. Mi spiega: Di solito si ha l’impressione che la preghiera islamica non sia altro che dell’esercitazione fisica. Ma non è vero, nella massima parte dei casi. C’è spazio nell’Islam per la preghiera libera e spirituale, spontanea e mistica. Una vera religione Non nasconde una lieve irritazione per certe dichiarazioni di cristiani che contestano che quella musulmana possa definirsi una vera e propria fede. Mi sembra che per tante dichiarazioni e per alcuni documenti ufficiali valga il detto: Ciò che è buono non è nuovo, e ciò che è nuovo non è buono. Ma poi cerca di scusarli: Sono cose dette da persone che credono di pensare bene, sinceramente, ma che non hanno alcuna esperienza diretta di ciò che è il dialogo della vita, in fondo l’unico vero dialogo. Padre Christian vuole farmi capire che c’è una grandissima differenza tra il livello ideologico e quello della fede. Cerco di vivere come Gesù, semplicemente, non rifiutando il contatto con nessuno. Anch’io sono passato dall’ideologia alla fede, e ho visto che, quando ciò avviene, anche coi musulmani il tono dei discorsi cambia. Allora mi chiedono amicizia e di pregare per loro. E io chiedo a loro di pregare per me. Un giorno ciò è successo con uno sconosciuto, che mi ha detto: È la seconda volta nella mia vita che un cristiano mi chiede di pregare per lui. Questo è molto importante, perché vuol dire che non mi consideri di seconda categoria, non mi guardi dall’alto in basso. Continua padre Christian: Troppa gente vuole ridurre l’Islam ad un sistema politico, mentre in primo luogo esso è relazione a Dio. Possiamo rifiutare l’aspetto ideologico, ma non possiamo negare quello religioso. Anche Chiara Lubich nei suoi rapporti coi musulmani fa proprio questo, e si vedono i frutti del suo lavoro. Mi racconta di un amico musulmano rimasto stupito vedendo il papa pregare. I cristiani sono allora uomini di preghiera, si era detto! Il papa con il suo atteggiamento è riuscito a conquistare anche i membri dei servizi segreti durante la visita del 2000. E all’università Al Azhar, nella quale non si applaudono mai i conferenzieri per dignità accademica, le parole del papa sono invece state accompagnate da un calorosissimo battimani . L’avvenire nel dialogo Chiedo a padre Christian come veda l’avvenire del dialogo islamocristiano. Nel giorno del mio funerale – mi risponde – vorrei che l’omelia parli di tre cose: della speranza, dell’unità dei cristiani e delle relazioni positive e spirituali tra cristiani e musulmani. Sono tre elementi che vanno sempre assieme nel dialogo. Se Gesù ha detto: Che tutti siano uno, lo ha fatto in vista della fede: Affinché il mondo creda. E ciò non solo alla fine dei tempi, ma in un prossimo futuro. Il cristiano non è un sognatore! Non è facile, certo, ma cos’è la speranza se non la forza che ci fa credere che ciò è possibile? L’unità dei cristiani è qualcosa che ha a che fare con la speranza, e di ciò noi siamo responsabili. Uno studioso musulmano diceva che la speranza implica sempre un’azione, se non è velleità. Anche il Corano ha previsto la divisione dei cristiani, nella sura 5,14: Abbiamo messo della inimicizia tra di loro… fino al giorno della risurrezione. I musulmani vedono la divisione dei cristiani un po’ come una dannazione divina. E noi cristiani spesso abbiamo fatto di tutto per dar loro ragione. L’unità è una delle principali implicazioni di credibilità per tutti noi, anche nei rapporti coi musulmani. Ma nessuna divisione è invincibile per l’amore di Dio, che può avere l’ultima parola in ogni divisione, anche in quella tra cristiani e musulmani. Se la fede è presente in entrambi le parti, Dio può aver l’ultima parola. Missione e dialogo Si arriva fatalmente a parlare del problema del rapporto tra missione e dialogo. Il dialogo è una forma di missione? Se è così, bisogna superare la sindrome dell’esca, come sosteneva il tunisino Muhammad Talbi.Mi spiego: se il dialogo è fatto solo in vista della conversione dell’altro, ecco che esso si rivela falso, e si arriva al conflitto. Bisogna piuttosto spingersi nella direzione dell’emulazione spirituale, rinunciando definitivamente al proselitismo considerato come una sorta di propaganda di partito. Il dialogo è piuttosto un dovere di testimonianza, testimonianza reciproca, il che non è poco. Un giovane che studia ad Al Azhar è diventato amico mio: siamo arrivati ad una relazione assai profonda. Mi ha fatto una domanda, vedendo la relazione che avevo con un musulmano, Mahmuth Draga, un’amicizia durata quarant’anni. Stava morendo, e al suo capezzale non ho sentito il bisogno di chiedergli se, almeno in punto di morte, non volesse battezzarsi. Questo giovane me l’ha chiesto. Io ho risposto di no; ma che, questo sì, ho sperato che fosse fedele fino in fondo a quello che Dio gli chiedeva. Nella stragrande maggioranza dei casi Dio non chiede la conversione di religione, ma la conversione del cuore verso di lui. Nel dialogo è essenziale essere onesti e trasparenti, senza secondi fini. Con questo amico avevamo parlato profondamente della morte: se a quel punto avessi parlato di battesimo, l’amicizia sarebbe stata solo una maschera. Il dialogo non deve avere altra motivazione che quella di conoscersi e di stare insieme. E di agire insieme, dove possibile. È testimonianza reciproca. L’incontro e l’umiltà Ci avviamo verso la fine del colloquio: L’annuncio è innanzitutto quello che vivo e che testimonio, e che perciò suscita domande. La gente è sensibilissima a quello che viene detto nella modestia e nell’umiltà. La base del dialogo è l’incontro che diventa parola talvolta, ma non sempre. A volte c’è il dialogo del silenzio. Recentemente in un’università musulmana ho chiesto a tre ricercatori di scrivere qualcosa sull’alterità secondo il cristianesimo, partendo dalla Gaudium et Spes. Uno di questi ricercatori, prima di rispondere, ha lasciato il questionario sulla sua scrivania. Sua figlia quattordicenne ha voluto rispondere al posto suo. Ha scritto: La preghiera ha tre poli: Dio, io, l’altro. E questa ragazza ha specificato che significava anche con gli ebrei! Questa ragazza in famiglia era la sola a rispettare il digiuno, e spesso, di nascosto dai suoi, seguiva le lezioni di catechismo cattolico: ha persino convinto un’amica cristiana che non ci andava a frequentarlo .

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