Il fotografo e la ragazza

Con “Icons” il comune di Conegliano rende omaggio al grande fotografo Usa Steve McCurry, autore della celebre “Ragazza afghana”

«Lo stupore è diverso dall’ammirazione. L’ammirazione può essere mondana, perché ricerca i propri gusti e le proprie attese; lo stupore, invece, rimane aperto all’altro, alla sua novità». Non so se il grande fotografo statunitense Steve McCurry conosce queste parole di papa Francesco, in ogni caso penso che le confermerebbe: esprimono infatti lo spirito di questo professionista al quale si riconoscono una curiosità innata, un senso di meraviglia circa il mondo e i suoi abitanti, nonché una singolare capacità di catturare, oltre i confini linguistici e culturali, il vissuto altrui.

Come lui stesso afferma: «La maggior parte delle mie foto è radicata nella gente. Cerco il momento in cui si affaccia l’anima più genuina, in cui l’esperienza s’imprime sul volto di una persona. Cerco di trasmettere ciò che può essere una persona colta in un contesto più ampio che potremmo chiamare la condizione umana. Voglio trasmettere il senso viscerale della bellezza e della meraviglia che ho trovato di fronte a me, durante i miei viaggi, quando la sorpresa dell’essere estraneo si mescola alla gioia della familiarità».

Steve McCurry

La sua carriera iniziò quando, travestito con abiti tradizionali, attraversò il confine tra il Pakistan e l’Afghanistan controllato dai ribelli poco prima dell’invasione russa (dicembre 1979). Al ritorno, portava con sé rotoli di pellicola cuciti tra i vestiti. Pubblicate, quelle immagini furono tra le prime a mostrare al mondo intero ciò che stava accadendo. Da allora McCurry continuò a fotografare le conseguenze dei conflitti internazionali (tra Iran e Iraq, in Libano, Cambogia, Filippine, ancora in Afghanistan, la Guerra del Golfo…), ma sempre con l’elemento umano al centro del racconto.

Il suo ritratto più celebre è la Ragazza afghana, fotografata nel 1984 in Pakistan, vicino Peshawar.  In visita un giorno al campo profughi di Nasir Bagh per sensibilizzare i lettori del National Geographic alle condizioni precarie in cui versa una parte dell’umanità, McCurry fu attratto dalle giovani voci provenienti da una tenda adibita a scuola. Ottenuto dall’insegnante il permesso di documentare con i suoi scatti la lezione in corso, il fotografo di Philadelphia venne subito colpito dagli occhi magnetici di un’allieva che si teneva in disparte. «Aveva un’espressione intensa, tormentata e uno sguardo incredibilmente penetrante – eppure aveva solo dodici anni. Siccome era molto timida, pensai che se avessi fotografato prima le sue compagne avrebbe acconsentito più facilmente a farsi riprendere, per non sentirsi meno importante delle altre».

McCurry aveva imparato in India a guardare ed attendersi la vita. «Se sai aspettare – diceva –, le persone si dimenticano della tua macchina fotografica e la loro anima esce allo scoperto». Stavolta l’immagine era stata necessariamente concepita e realizzata in pochi secondi, eppure risultò perfetta grazie alla sua capacità di stabilire un intenso rapporto con i soggetti scelti. La misteriosa ragazza apparve, nel 1985, sulla copertina della rivista. Poco dopo la redazione veniva sommersa dalle lettere. Racconta McCurry: «Tutti volevano sapere chi era, aiutarla, mandare soldi, adottarla, uno la voleva persino sposare».

La foto di quel volto giovane e spaurito diventò il simbolo della tragedia dell’Afghanistan e della dignità con cui il suo popolo aveva affrontato la guerra e l’esilio; contrassegnò molte campagne di solidarietà, fra cui quelle promosse da Amnesty International.

La sua identità, tuttavia, rimase sconosciuta fino al 2002, anno in cui il fotografo partì nuovamente per il Pakistan insieme ad una squadra del National Geographic. Nel campo profughi presso Peshawar nessuno seppe dire qualcosa della ragazza del ritratto, tranne un uomo: era viva, assicurò, sposata e da anni rimpatriata in Afghanistan dopo aver rischiato in Pakistan il carcere per il possesso illegale di una carta di identità.

Mc Curry non si diede per vinto: dopo un lungo e pericoloso viaggio, tornò in quel Paese ancora in guerra dove riuscì a rintracciare, emozionato, quella che ora era una donna: Sharbat Gula. Il tempo e le dure prove vissute ne avevano plasmato il volto, la pelle era segnata da rughe, ma i suoi occhi verdi continuavano a trasmetterne tutta la forza interiore. «Le spiegai che la sua immagine aveva commosso moltissime persone, ma non sono sicuro che la fotografia e il suo potere significassero davvero qualcosa per lei o che fosse in grado di capirli fino in fondo».

Riconoscente a colei che gli era stata causa di fama internazionale, McCurry cercò di aiutarla in molti modi. Fra l’altro, fornì a lei e al marito i mezzi per effettuare il pellegrinaggio alla Mecca. «Era il sogno più importante della loro vita e senza quella foto non si sarebbe mai realizzato. È stato bello poterle rendere almeno in parte ciò che le dovevo».

Innumerevoli sono state, in tutto il mondo, le mostre antologiche dedicate alle opere di questo fotografo pluripremiato, membro della Magnum Photos dal 1986, che ha spaziato dalla street photography al reportage di guerra, alla fotografia urbana, al ritratto: culmine, questo, della sua arte.  A rendergli omaggio in Italia, per la prima volta nella regione Veneto, è la grande rassegna allestita dal 6 ottobre 2021 al 13 febbraio 2022 al Palazzo Sarcinelli di Conegliano (Tv) dal titolo Steve McCurry Icons: oltre 100 ritratti che ben rappresentano il suo particolare stile e la sua visione estetica.

 

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