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Focolari Italia, l’impegno per la pace dentro la storia

a cura di Carlo Cefaloni

- Fonte: Città Nuova

Carlo Cefaloni

Le ragioni dell’impegno del Movimento dei Focolari in Italia a favore della pace dentro un contesto sempre più segnato dall’inevitabilità della guerra. L’azione pubblica per fermare l’economia armata, la preghiera, le marce e l’interlocuzione diretta con le istituzioni. Intervista a Cristiana Formosa e Gabriele Bardo

Marcia Perugia Assisi Archivio ANSA/MATTEO CROCCHIONI

Intervistiamo Cristiana Formosa e Gabriele Bardo, responsabili del Movimento dei Focolari in Italia, sabato 11 ottobre 2025.

È il giorno, memoria di Giovanni XXIII, in cui papa Leone ha indetto una giornata di preghiera per la pace invitando a recitare il Rosario a piazza San Pietro in un tempo segnato su più fronti, come affermano sempre più analisti e osservatori, dal ritorno della guerra che richiede scelte concrete di carattere personale e politico.

Ma la politica secondo Machiavelli non si fa con i paternoster, mentre Stalin domandava beffardo di conoscere il numero delle divisioni armate controllate dal papa.

Smentendo la catalogazione dei Focolari tra le innocue correnti spiritualiste distaccate dalla storia, il Movimento in Italia ha da tempo preso posizioni molto precise nel segno di quell’impegno costante e credibile che Margaret Karram, presidente internazionale dei Focolari, indica come strada da percorrere per andare, ad esempio, oltre il cessate il fuoco decretato per il momento a Gaza.

Manifestazione per la riconversione economica in Sardegna
Foto IAD

Già 8 anni fa i Focolari scrivevano, assieme ad esempio a diverse realtà come Amnesty International e Oxfam, una lettera aperta all’allora ministro degli Esteri Angelino Alfano chiedendo di fermare l’invio di bombe destinate ad alimentare la guerra in Yemen. Un’iniziativa che nasceva dall’impegno concreto del Movimento per un’economia di pace su un territorio, il Sulcis iglesiente, dove quelle armi sono tuttora costruite con il rischio, dopo lo stop imposto dal 2019 al 2023, di un aumento  di produzione in forza del programma Re Arm Eu.

Recentemente Bardo e Formosa hanno incontrato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, assieme ad una delegazione di altri movimenti e associazioni cattoliche, per auspicare che «l’Italia, in questo tempo difficile e drammatico, possa e debba rafforzare l’impegno nel dialogo e nella promozione della pace»

Qualche mese addietro Focolari, Pax Christi, Azione Cattolica, Acli, APG23 e Agesci hanno ribadito l’istanza al governo di aderire al Trattato Onu del 2017 di messa al bando delle armi nucleari.

Cominciamo quindi l’intervista anche con riferimento alla Marcia Perugia-Assisi programmata da tempo per domenica 12 ottobre e alla quale il Movimento dei Focolari aderisce ufficialmente dal 2016.

Davanti a questi fatti come rispondete a chi chiede ai cristiani e in particolare ai Focolari di limitarsi ad un dimensione spirituale senza entrare in questioni divisive?

Cristiana Formosa: diciamo che è un’interpretazione riduttiva e fuorviante.  L’obiettivo della “fraternità universale” impone di essere pienamente immersi negli eventi quotidiani e quindi di “sporcarsi le mani”. L’impegno per la pace non può rimanere un’astrazione, ma deve calarsi nella complessità del reale. Questa immersione nella storia, però, per essere costruttiva, esige una precondizione: un “cuore pacificato”. Non si tratta di due impegni paralleli, ma di una dinamica in cui la pace interiore diventa il fondamento che permette di stare dentro le contraddizioni senza essere consumati dal conflitto. Questo processo inizia all’interno del Movimento stesso, dove il dialogo per superare le legittime diversità di opinioni è considerato un dovere da perseguire “a tutti i costi”.

Gabriele Bardo:  L’impegno per la pace, poi, non può essere un cammino isolato, ma deve essere percorso “insieme agli altri”: movimenti ecclesiali, associazioni laiche e realtà della società civile che, pur partendo da presupposti diversi, convergono sull’obiettivo comune.

Questo approccio collaborativo è un patrimonio storico del Movimento, ma ha subito “una certa accelerazione” negli ultimi tempi. Un’accelerazione che va letta come un segno dei tempi: una crescente urgenza che spinge le realtà ecclesiali a far fronte comune di fronte a sfide epocali, cercando punti di convergenza pur nella diversità delle sensibilità.

Un cammino in controtendenza nei confronti di una certa egemonia cultura della guerra. Come si risponde a tale sfida?

Formosa: Occorre un grande e costante sforzo per contrastare il “linguaggio bellicista” e polarizzante dei media, un compito in cui testate come Città Nuova sono apprezzate per lo sforzo di dare voce alle vittime e favorire il dialogo anche tra posizioni diverse, a partire da una chiara scelta di pace. Esiste poi tutta una diffusa azione in campo educativo per costruire una nuova generazione di costruttori di pace, come dimostra, tra i numerosi esempi, il notevole impegno in campo giovanile dell’associazione Dance lab in Val di Nievole (Toscana).

Eppure, queste azioni concrete si scontrano con una potente marea culturale di normalizzazione e con la tentazione, sempre presente per i credenti, di ritirarsi dalle prime linee.

Bardo: proprio per tale ragione l’impegno del Movimento si nutre di gesti di “prossimità”. Lo abbiamo sperimentato andando ad esempio in Sardegna ad incontrare l’associazione Warfree, nata a Iglesias all’interno del Comitato riconversione Rwm dove sono attivi molti appartenenti del Movimento. È stato importante essere fisicamente presenti per sostenere chi si batte per un’alternativa all’economia di guerra. Per noi è stato come un pellegrinaggio laico sulle linee del fronte della resistenza nonviolenta. Ciò che ci ha colpito è il contrasto tra la semplicità della sede e la straordinaria forza dell’impegno civile. È qui che la pace smette di essere uno slogan per diventare una scelta di vita, incarnata. Siamo chiamati a testimoniare  che “c’è anche un’altra storia” possibile.

In che modo questa scelta della prossimità orienta la scelta concreta?

Formosa: La prossimità è l’antidoto all’assuefazione. A volte  noi seguiamo queste vicende di guerra sempre più vicine senza immedesimarci. È questa incapacità di fare proprio il dolore altrui che la prossimità cerca di curare. Abbiamo esempi concreti e potenti come testimoniano i Focolari presenti in Ucraina, in Terra Santa e Siria. Pensiamo anche all’accoglienza dei profughi dall’Afghanistan, un impegno che esige costanza ben oltre il ciclo mediatico iniziale che comporta una compassione guidata dall’emergenza.

Queste esperienze impediscono che la preghiera diventi “un momento isolato della vita” e la trasformano in un motore che spinge a scelte concrete e quotidiane.

Da qui nasce la decisione di impegnarci assieme alla Chiesa italiana nella marcia della pace di fine anno, che faremo il 31 dicembre a Catania. Puntiamo poi al 2026 ad un atteso momento, probabilmente in sud Italia, per ritrovarci con alcuni rappresentanti da tutte e cinque le sponde del Mediterraneo, intanto come membri del Movimento dei Focolari, per ascoltare chi vive il conflitto e trasformare il mare in un ponte.

Ma concretamente a cosa è servito incontrare Tajani in questa congiuntura storica?

Bardo: Un primo approccio dove abbiamo chiesto di uscire fuori dalla retorica bellicista  per dare più  sostegno statale alla cooperazione internazionale, oggi sottofinanziata. La cooperazione è  l’alternativa politica ed economica a un “piano di riarmo” miliardario, investendo negli strumenti di pace anziché in quelli di guerra.

Certo passare dall’intenzione alla concretezza (dal dire, al fare) non è mai semplice. Una delle difficoltà riscontrate è che, soprattutto in tempi recenti, il rischio delle polarizzazioni è molto forte. Questo rende difficile il camminare insieme con altri movimenti e associazioni, e anche all’interno dei propri ambienti, ma credo che valga la pena percorrere questa strada che è illuminata dal faro della Dottrina sociale della Chiesa. Una base solida per il cammino compiuto in questi anni in continuità con l’opposizione radicale alla guerra testimoniata da Igino Giordani, cofondatore del Movimento. L’esempio di Chiara Lubich, con la sua capacità di “tessere dialoghi con chiunque”, fornisce il “come”, il metodo dell’incontro che supera ogni barriera

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