Fino all’ultimo respiro

La volontà di Eluana è stata fatta. Su questa solida certezza Beppino Englaro ha chiesto ed ottenuto dalla Corte civile di Milano, dopo sette verdetti, l’autorizzazione a staccare il sondino e provocare la morte di sua figlia per mancanza di nutrimento. La verità è cruda – ha dichiarato -, la verità è che Eluana è un cadavere tenuto in vita. L’hanno obbligata a respirare contro la sua volontà. Un tragico incidente d’auto, nel gennaio del 1992, l’ha ridotta in condizioni gravissime. Da sedici anni è in stato vegetativo permanente. È perfettamente sana, respira da sé, senza bisogno di macchine, apre gli occhi se c’è la luce, li chiude quando è buio. Il suo cuore batte autonomamente, ma il cervello apparentemente non funziona più. È certamente enorme la pena vissuta da questa famiglia costretta a convivere con una flebile speranza, per anni e anni. Gesti quotidiani che si ripetono all’infinito, senza speranze di recupero. Bisogna avere la forza – ha scritto Vincenzo Cerami – di immedesimarsi nel caso singolo e immaginare una casa, un dolore che non ha mai fine, una clinica, e giorni segnati dal silenzio. Non si può giudicare il papà di Eluana. Lo sa bene anche una nostra lettrice, Maria Adduci, da tempo in contatto con lui, che ha avviato nell’ultimo periodo un dialogo con il signor Englaro, riferendogli della sofferta vicenda personale accanto al marito, apparsa sul n. 13 di Città nuova. Ci si può opporre, invece, ad una sentenza pronunciata dalla Corte civile di Milano lo scorso 9 luglio che grande clamore e pareri contrastanti ha suscitato sulla stampa italiana. Da I giudici hanno dato un esempio a Questa è eutanasia, da Ora Eluana può morire a Ancora possibile impugnare la sentenza, creando i soliti falsi steccati tra laici e cristiani, tra scienza e Chiesa, come se in gioco ci fosse una ideologia e non una persona. Una lettura spesso emotiva e poco ragionevole, come è poco ragionevole pensare che un essere umano possa decidere di interrompere una vita umana per un atto di somma pietas. I giudici, secondo noi, sbagliano per più motivi. Il primo grande interrogativo che sorge è se Eluana sia viva o morta. La fine della vita è l’evento più misterioso della storia del genere umano e la scienza rende problematico il confine della nostra esistenza; ma la legge italiana n. 578 del 29 dicembre del 1993 – dice Francesco Paolo Casavola – stabilisce che occorre, per ritenere morta una persona, la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo, tagliando d’autorità ogni dibattito scientifico . E un essere, seppur considerato privo di coscienza, è ancora vivo se respira, si nutre, e il suo cuore batte ancora. Uno stato vegetativo permanente è ancora vita, seppur minima, una vita misteriosa, ma comunque vita, in cui sono necessari altri approfondimenti scientifici, come dimostra la straordinaria vicenda di Salvatore Crisafulli. Se potessero parlare le 2.500 persone che in Italia sono in stato vegetativo, se potessimo dare voce a chi non ha voce potremmo avere delle sorprese: Salvatore Crisafulli ci riesce e dopo due anni di coma, lo stesso di Eluana, ci racconta come ha vissuto il conseguente stato vegetativo permanente. Oggi Salvatore ha 43 anni e comunica tramite un computer selezionando le lettere tramite i movimenti degli occhi. Capivo cosa mi succedeva intorno – scrive in una toccante lettera -, ma non potevo parlare, non riuscivo a muovere le gambe, le braccia e qualsiasi cosa volevo fare, ero imprigionato nel mio stesso corpo proprio come lo sono oggi. Provo con tutta la mia disperazione, con il pianto, con gli occhi, ma niente, i medici troncavano ogni speranza, per loro ero un vegetale e i miei movimenti oculari erano solo casuali, insomma non ero cosciente. (Si può leggere l’intera lettera su www.salvatorecrisafulli.it). La sua storia solleva molti interrogativi. Queste persone sono dei vegetali o sono coscienti e soltanto bloccati da catene invisibili che non gli permettono più di muoversi, reagire, comunicare? Non si tratterebbe, forse, di persone che vivono una nuova forma di disabilità, e quindi con tutti i diritti di essere nutriti come si fa con migliaia di altri esseri umani in condizioni ben più gravi di Eluana? L’altra grande motivazione su cui poggia la sentenza della Corte civile di Milano è la manifestazione di volontà della moritura attraverso il tutore, suo padre, e testimoni attendibili. Di fronte a casi simili al suo, Eluana avrebbe manifestato in passato l’intenzione di morire e liberarsi da quella situazione se fosse successo a lei. Nessuno mette in dubbio le parole del padre e delle amiche di Eluana, ma come oggi si può essere così sicuri che Eluana vorrebbe la morte quando non c’è nessuno scritto che prova la sua volontà? Nessun giudice – dice Eugenia Roccella, sottosegretario al Welfare, – deciderebbe di dare in eredità una casa a qualcuno senza una carta firmata. Se questa regola vale per una casa, perché non deve valere per una vita umana?. E, inoltre, un conto è affermare delle frasi pronunciate sul dramma di altri, un conto è sapere come ognuno di noi si comporterebbe di fronte all’opzione della morte. C’è altro ancora: se, come ritiene la famiglia, Eluana è morta sedici anni fa, perché non lasciarla in adozione, come hanno chiesto con grande generosità, le suore misericordine che per 14 anni l’hanno curata quasi come una figlia? Sarebbe, questo sì, un atto di grande libertà e generosità. Sarebbe, paradossalmente, il massimo dell’amore, affidare la vita della propria figlia nelle mani di altri, sarebbe davvero liberarsi da ogni scrupolo della coscienza, sarebbe donarla a tutti, alle cure di una società che si occupa anche del più minimo, inutile e insignificante.

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