Finmeccanica oltre gli scandali

Il maggior gruppo industriale italiano è al centro di una serie di affari poco chiari. La questione centrale rimane il tipo di produzione prevalente. Le domande attuali di Federico Caffè.  
Finmeccanica
Scoppiato ormai da tempo, lo scandalo Finmeccanica, che si può considerare il primo gruppo industriale italiano, seguirà il suo prevedibile corso giudiziario. Quando si parla, a proposito di Finmeccanica, di un patrimonio di produzioni dal valore strategico di altissimo livello tecnologico, pochi sanno che si tratta prevalentemente di armamenti, dai veicoli blindati ai satelliti, dagli obici agli elicotteri, dai siluri ai caccia, dai missili all’avionica. E che l’occupazione è in crisi anche in questo comparto che invece, secondo i luoghi comuni, garantirebbe la sicurezza dei posti di lavoro.

 

Mentre si annunciano, a cominciare dalla Selex, duemila esuberi nel gruppo industriale ancora sotto controllo pubblico,, è necessario ricordare come una riconversione industriale sia già avvenuta negli ultimi anni. Come ha potuto documentare Gianni Alioti, responsabile dell’ufficio internazionale dei metalmeccanici della Cisl, il gruppo, ancora nel 1995, operava prevalentemente, per due terzi, nel settore civile.

 

Una proporzione completamente rovesciata a favore del militare solo dieci anni dopo, nel 2005. Una scelta strategica partita dalla «destrutturazione di Elsag Bailey con l’uscita dall’automazione di fabbrica e, soprattutto, dal settore dell’automazione dei processi industriali (dove il gruppo era leader mondiale), insieme al cosiddetto “deconsolidamento” dei settori energia e trasporti, fino all’uscita dalla microelettronica (Stm)».

 

Scelte poco lungimiranti, secondo Alioti, per il Sistema Italia, perché «si è agito contro la necessità di investire in ricerca ed innovazione tecnologica applicata al sistema industriale, alle reti, alle utilities e ai servizi ad alto valore aggiunto». In parole semplici sarebbe stato molto più utile entrare «nei settori dell’automazione, dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili, dei trasporti e della mobilità sostenibile».

 

A parità di investimento, la creazione di occupazione qualificata, come mostra il caso tedesco, sarebbe stata superiore di ben sei volte a quella ottenuta con la specializzazione nei sistemi di arma. Ma la scelta di puntare su questo settore è stata un’opzione largamente condivisa e trasversale come si è potuto notare, ad esempio, negli appelli dei governi italiani per superare l’embargo dell’Unione europea all’esportazione di armi verso la Cina, grande e potenziale acquirente, assieme al gigante indiano. Grandi investimenti sono stati sempre dedicati alle fiere di Nuova Delhi. Sono mercati dove occorre agire subito.

 

Come ha fatto notare il direttore generale di Finmeccanica, Alessandro Pansa, il vantaggio delle aziende competitive è di solo 20 anni. Tra poco, cioè, le imprese dei Paesi emergenti produrranno completamente in proprio ed è importante intraprendere strategie per avviare ogni possibile partnership.

 

Lo stesso Pansa, in studi pubblicati sul futuro della difesa europea, non ha difficoltà a riconoscere che le imprese di questo settore «continueranno ad influenzare in modo consistente il modello industriale oltre che le scelte e i comportamenti politici delle economie dell’Occidente e di altri importanti Paesi del mondo». Basta dare un’occhiata anche agli investimenti in promozione di immagine e sostegno di tante iniziative e convention.

 

Perciò, mentre siamo costretti a vedere interi quartieri e paesi che scompaiono sotto il dissesto idrogeologico, con uno strascico straziante di morti, restano di attualità le domande che si poneva un grande economista come Federico Caffè nel 1983, proprio sulle scelte dell’Italia, e cioè se dovesse investire le proprie risorse in piani di armamenti imposti dall’esterno oppure «proporsi di perseguire ideali amministrativi di bonifica ambientale, di eliminazione del persistente sfasciume geologico, di ricerca impegnata di nuove possibilità di impiego».

 

Quasi 30 anni da quella analisi che conteneva le premesse della situazione attuale e un contributo per cercare una risposta ragionevole di uscita dalla crisi. 

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