Fine dello Stato islamico (non del Daesh)

Con la battaglia di Baghouz, vinta dalle forze curdo-siriane del Sdf con l’appoggio Usa, il cosiddetto Califfato sembra sconfitto. Ma resiste la sua ideologia, così come gli appoggi sotterranei internazionali

Le bandiere gialle delle Sdf (Forze democratiche siriane), la coalizione curdo-siriana sostenuta dagli Usa, sventolano su Baghouz. L’ultima roccaforte territoriale dello Stato islamico è caduta. Mustafa Bali, portavoce delle Sdf, twitta: «Baghouz è libera e la vittoria militare contro il Daesh è stata raggiunta… Le forze siriane democratiche dichiarano la totale eliminazione del cosiddetto califfato e la sconfitta al 100% del Daesh sul territorio». Nato nelle fila di al-Nusra (al-Qaeda in Iraq), in pochi anni il Daesh se ne era distinto, e il 29 giugno 2014 a Raqqa, il suo capo carismatico, Abu Bakr Al-Baghdadi, si era proclamato califfo del cosiddetto Stato islamico dell’Iraq e del Levante.

L’odio, rivolto soprattutto contro la grande maggioranza dei musulmani, non salafiti, ha riempito di cadaveri decine e decine di fosse comuni. C’è voluta una coalizione internazionale per fermare il massacro e l’espansione del Daesh. Si può quindi comprendere l’esultanza per la vittoria di questi giorni a Baghouz, ma è un’esultanza che coinvolge solo chi non è mediorientale. I media occidentali commentano purtroppo molto superficialmente questo annuncio, come se l’incubo fosse finito per sempre. Ma i vertici militari delle Sdf non sono ingenui e sanno bene che la sconfitta dell’Isis riguarda solo il territorio, non l’organizzazione. L’Isis non è finito: si calcola che in Siria e in Iraq ci siano ancora fra 14 e 20 mila miliziani nascosti o dormienti. In Africa e in Asia sarebbero addirittura in espansione.

Abdel Kareem Umer, il capo delle relazioni internazionali delle Sdf, commenta infatti così la conquista di Baghouz in un’intervista rilasciata all’agenzia tedesca Dpa-news: «Questo non significa che abbiamo messo fine al terrorismo e a Daesh. Abbiamo messo fine… al loro Stato. Daesh ha ancora cellule dormienti e la loro ideologia esiste ancora nell’area sulla quale hanno governato per anni». Anche le fonti locali libere (che in Occidente ben pochi conoscono) non si fanno illusioni: Omar Mohammed, il blogger di Mosul Eye che ha clandestinamente documentato la triste condizione della gente della sua città al tempo del califfato, afferma: «L’idea che il Daesh sia sconfitto è solo uno scherzo». E Anam, un giovane cristiano sfollato da Qaraqosh, così commenta a Radio Rudaw, la radio curda che trasmette da Erbil: «Le forze di Daesh vengono sconfitte, ma la mente di Daesh non può essere sconfitta».

Perché così pessimista? Perché Anam, come molti iracheni e siriani, sa bene che il Daesh non è un fatto isolato, ma gode di molti sostegni tra la popolazione civile e in ambito internazionale. Senza voler essere complottisti per forza, purtroppo il game-over in Medio Oriente è ancora lontano. Ci sono troppi interessi in gioco. Nadia Murad, la giovane yazida premio Nobel per la pace 2018 e attivista nel sostegno al suo popolo massacrato dal Daesh, e in particolare alle donne vittime di violenza sessuale, ha detto: «È importante avere un piano per combattere questa ideologia e impedire alle persone di unirsi a gruppi come il Daesh. Penso che questa ideologia resista, è pericoloso pensare che il Daesh non si riorganizzerà, magari con un altro nome».

 

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