Finanza armata. La risposta delle banche

Continuano a partire dall'Italia carichi di bombe verso l'Arabia Saudita. È la denuncia di Giorgio  Beretta, referente della campagna di pressione verso le banche che finanziano la produzione e il commercio di armi. Qualcosa sta cominciando a cambiare. Dibattito a Roma il 10 dicembre 
armi

Giorgio Beretta, referente per la campagna di pressione sulle banche armate, è ultimamente impegnato in un dibattito a distanza molto duro con il governo Renzi sulla questione dei carichi di armamenti pesanti (bombe) che continuano a transitare verso l’Arabia Saudita partendo dall’aeroporto di Cagliari. È facile immaginare che gli strumenti bellici siano destinati alla cruenta azione di guerra che il Paese destinatario sta portando avanti nello Yemen dove fonti ufficiali dell’Onu registrano, da marzo 2015, almeno 2mila e 355 civili uccisi, tra cui almeno 640 bambini.

 

Secondo le dichiarazioni del ministro della Difesa, Roberta Pinotti, si tratterebbe di operazioni regolari in linea con la legge 185 del 1990 perché le armi sarebbero di fabbricazione tedesco-statunitense.

 

Secondo le fonti dell’Opal, l’osservatorio su sicurezza e difesa di cui Beretta è  ricercatore, il discorso è più complesso, ma la sostanza non cambia dato che «la legge 185  vieta non solo l’esportazione, ma anche il transito di armi verso Paesi in guerra». Ad ogni modo si tratterebbe di «ordigni fabbricati o assemblati nello stabilimento sardo della Rwm Italia» su licenza della capofila tedesca Rheinmetall, fornitrice della nordamericana Raytheon in affari con il governo di Riyad.  

 

Un servizio televisivo di una trasmissione de La7, riscontrabile su web, documenta l’intervista al sindaco del paese sardo che difende la produzione locale di armi di fronte alla drammatica carenza di lavoro del Sulcis. Il primo cittadino di Domusnovas viene ripreso con lo sfondo di una libreria piena di statuette devozionali. Evidentemente le contraddizioni strutturali di un Paese non si possono scaricare sulle spalle di un amministratore locale e, infatti, la campagna di pressione sulle banche che finanziano la produzione e il commercio armi vuole offrire strumenti per un ampio ripensamento sulle principali decisioni industriali politiche del nostro Paese.

 

Come hanno risposto finora i gruppi bancari italiani alle richieste della campagna di interrompere i rapporti con le aziende degli armamenti? Il dettaglio della situazione di ciascuno istituto si può trovare sul sito www.banchearmate.it nonostante la recente carenza di trasparenza dei dati delle relazioni governative di applicazione della legge 185. In generale, citiamo Giorgio Beretta che divide le banche in quattro categorie:    

 

1. Gruppi bancari che hanno emesso direttive che escludono le operazioni di esportazione di armamenti e che danno un costante reporting in merito a tali operazioni. Oltre a Banca Popolare Etica, che fin dalla sua fondazione ha escluso dalla propria attività queste operazioni, vanno inserite in questa categoria tutte le banche appartenenti ai gruppi Monte dei Paschi (Mps), Intesa Sanpaolo, Banca Popolare di Milano (Bpm), Banco Popolare e Credito Valtellinese.

 

2. Banche che hanno emesso direttive che limitano le operazioni di esportazione di armamenti e ne hanno dato una dettagliata comunicazione. Tra queste va annoverato il gruppo Ubi che già nel 2007 ha definito una direttiva molto restrittiva e pubblica un accurato resoconto annuale. Anche il gruppo Bper (Banca Popolare dell’Emilia Romagna) nel 2012 ha emanato una direttiva abbastanza rigorosa e ha cominciato a fornire un resoconto. Da segnalare anche le recenti direttive emanate dal gruppo bancario francese Crédit Agricole che in Italia controlla il gruppo Cariparma.

 

3. Istituti e gruppi bancari che pur avendo emanato direttive interne non le hanno rese pubbliche e/o non comunicano adeguatamente le operazioni riguardo al commercio di armi. Ne fanno parte le banche del gruppo UniCredit che nel corso degli anni ha modificato ampiamente la propria direttiva e presenta un reporting insufficiente. E soprattutto il gruppo francese BNP Paribas che controlla la Banca Nazionale del Lavoro (Bnl), ma svolge gran parte delle operazioni con la filiale italiana di Bnp Paribas.

 

4. Banche che non hanno emanato direttive o che risultano inadeguate per esercitare un efficace controllo sul commercio di armi. L’elenco è lungo e riguarda soprattutto le banche estere presenti in Italia: tra queste va segnalata soprattutto Deutsche Bank che è uno dei gruppi bancari più operativi nel settore.

 

Le categorie esposte sono evidentemente in continua evoluzione grazie all’impegno quotidiano di coloro che (come dipendenti, clienti o comunque cittadini consapevoli) non si rassegnano all’immodificabilità del sistema, anche quando è così complesso come quello finanziario, ma cercano di fare la propria parte per cambiarlo in meglio.

 

Città Nuova organizza un incontro con Giorgio Beretta a Roma giovedì 10  dicembre alle ore 18 in via degli Astalli, 17 a due passi da piazza Venezia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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