I film che raccontano Ustica

Capita che il cinema italiano inquadri una situazione secondo quanto accadde 40 anni da nei cieli del nostro Paese. La vicenda di Ustica nella regia di Marco Risi e di Renzo Martinelli
Foto Stefano Colarieti / LaPresse

Capita spesso, in passato forse accadeva di più, che il cinema taliano cerchi di offrire il suo contributo al disvelamento dei grandi misteri dell’Italia repubblicana. Su questa tradizione importante, da custodire gelosamente, da non far appassire, si inseriscono alcuni lavori che nel tempo hanno cercato di far luce su quanto accadde nei cieli del nostro Paese, tra Ponza ed Ustica, la sera del 27 giugno 1980: 40 anni fa esatti, senza che la verità sui responsabili della strage di Ustica sia stata accertata.

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Il primo film sull’argomento è Il muro di gomma di Marco Risi, del 1991, che inizia con una sequenza toccante, riuscita, nel dolore che contiene: c’è una donna all’aeroporto di Palermo, in attesa di quel DC 9 Itavia partito da Bologna alle 20:08, che non arriverà mai a Punta Raisi. Si chiama Giannina e stringe al petto una bambina, sua figlia, che stanca le si è addormentata in braccio. Poi qualcuno comunica ai parenti dei passeggeri che l’aereo risulta disperso, e inizia ad elencare i nomi – 81 – delle persone che c’erano a bordo. La donna porta le mani al volto, deve sedersi e piange, mentre scorrono i titoli di testa sopra la colonna sonora di Francesco De Gregori. Quei nomi, tra i quali quello di suo marito, si ripetono uno dopo l’altro, a ricordarci che quel numero 81 era composto da persone, vere, da vite con affetti che hanno riempito, loro malgrado, nella loro totale innocenza, di dolore profondo le vite di tanti loro cari. Il muro di gomma è un film alla Francesco Rosi per come si attiene ai documenti, per come cerca di farli comunicare tra loro e lasciare allo spettatore il compito di aggiungere le conclusioni. Di unire i puntini e di capire. È un film bello, utile, giornalistico, potremmo dire, non a caso è scritto, oltrechè da Rulli e Petraglia, anche da Andrea Purgatori, il giornalista che seguì da subito, per Il Corriere Della Sera, quella tragica vicenda, e che nel film prende il nome di Rocco Ferrante: un appassionato Corso Salani, bravissimo, talmente bravo che il suo personaggio, oltre a fare da perno attorno al quale ruota tutta la vicenda – raccontata dall’inizio al 1990 – ci ricorda la bellezza e il sacrificio che appartengono al mestiere di giornalista, quando lo si fa davvero, nel modo migliore, per servire la collettività e sopratutto la sua parte piu fragile. Rocco riceve una telefonata dalla centrale radar di Ciampino, quella sera, nella quale un conoscente gli dice dell’aereo caduto e che qualcuno l’ha tirato giù. Da allora, per il giornalista inizia un viaggio deciso verso la verità, che diventa quasi ossessivo dopo aver conosciuto Giannina e aver ascoltato la sua rabbia e il suo dolore. Capisce presto, Rocco, che potrebbe essere stato un missile a far cadere il DC 9 ma che al potere – politica, servizi segreti, alte sfere militari – non interessa che la somoda verità venga fuori, o che comunque venga cercata, ma che siano rispettati i rapporti di forza che regolano in quegli anni le relazioni internazionali. E cosi, l’ipotesi del cedimento strutturale viene sostenuta ufficialmente e la domanda su come siano morte quelle 81 persone rimane senza risposta. Anche se quel muro di gomma, come lo definì l’avvocato di parte civile Giordani, nel 1989, col tempo ha mostrato qualche crepa.

Alla fine del film Rocco Ferrante esprime i sentimenti, i dubbi e le angosce di un Paese intero attraverso un articolo che detta per il suo giornale da una cabina telefonica, mentre piovea dirotto: «Ci sono voluti 10 anni, 10 anni di bugie, di perché senza risposta. Perché chi sapeva è stato zitto? Perché chi poteva scoprire non si è mosso? Perché questa verità era così inconfessabile da richiedere il silenzio, l’omertà, l’occultamento delle prove? C’era la guerra la notte di quel 27 giugno del 1980: c’erano 69 adulti e 12 bambini che tornavano a casa, che andavano in vacanza, che leggevano il giornale, o che giocavano con una bambola. Quelli che sapevano hanno deciso che i cittadini, la gente, noi, non dovevamo sapere: hanno manomesso le registrazioni, cancellato i tracciati radar, bruciato i registri, hanno inventato esercitazioni che non sono mai avvenute, intimidito i giudici, colpevolizzato i periti. E poi, hanno fatto la cosa più grave di tutte: hanno costretto i deboli a partecipare alla menzogna, trasformando l’onestà in viltà, la difesa disperata del privilegio del posto di lavoro in mediocrità, in bassezza. Perché?».

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Le parole di Rocco arrivano dopo anni di materiale accumulato, di parole ascoltate, di frammenti di realtà passati davanti ai suoi occhi. È un film di osservazione, Il muro di gomma, di dati messi insieme. Non è un film a tesi come è invece quello di molti anni successivo – 25 rispetto a quello di Risi e 36 rispetto alla sera del 27 giugno 1980 – diretto da Renzo Martinelli con il titolo Ustica. Un film del 2016 che sostiene la tesi, appunto, frutto di uno studio durato tre anni, e supportato da molti documenti, secondo la quale fu un aereo da guerra americano a entrare in collisione con il DC9 Itavia, facendolo cadere. Accadde nell’inseguimento, in coppia con un altro velivolo statunitense, di un mig 23 libico in volo in quella zona dopo un lavoro di manutenzione nell’allora Jugoslavia. Quel mig utilizzò il DC 9 per nascondersi dai radar e rientrare nel suo paese senza essere visto, ma gli americani si misero al suo inseguimento e ne nacque la tragedia.

È un film diverso da Il muro di gomma, Ustica, forse piu televisivo, ma anche popolare nel senso migliore del termine, cioè facile da seguire perché chiaro e piuttosto coinvolgente. In film per tutti, per portarli dentro questa pagina oscura e straziante di storia italiana. Certo, la parte di finzione, quella in cui un deputato e sua moglie elicotterista cercano, insieme a una giornalista che perse sua figlia quella notte, la verità contro tutto e contro tutti, rischiando o pagando con la vita stessa, può risultare un po’ calcata da un punto di vista emozionale ma spesso i dialoghi del film sono precisi, sostanziosi e puliti senza risultare eccessivamente didascalici.

Quel che accomuna il film di Risi a quello di Martinelli è un atteggiamento scontroso e nervoso, ostile, da parte del potere di fronte alla ricerca di verità e di giustizia: per quella “ragion di stato” più importante del dolore di tantissime famiglie comuni, per il rispetto della complessità politica di quegli anni – raccontata anche da un terzo film sull’argomento, quello di Romano Scavolini dal titolo Ustica, una spina nel cuore – prima del rispetto per la sofferenza privata di 81 esseri umani e delle persone che li amavano. Questi film si mettono invece, ognuno a modo suo, dalla parte dei “piccoli”, delle vittime, dei sofferenti, e perciò si definiscono di impegno civile. Hanno il compito e la capacità di tenere viva la memoria, che non vuol dire soltanto ricordare i fatti, ma alimentare il desiderio di giustizia, di verità e di rispetto per chi ha pagato un prezzo altissimo per errori o reati di altri. Oggi, 40 anni dopo Ustica, come ogni quotidiano domani. 

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