Festival di Sanremo 2022: voglia di rinascita

È tornato il Festival più amato dagli italiani. L’edizione numero 72, guidata per la terza volta da Amadeus, riflette la gran voglia del Paese di ritrovare leggerezza e normalità. Il primo podio provvisorio è dell’accoppiata Mahmood & Blanco. Ascolti ottimi: 54,7% di share, lo hanno visto in quasi 11 milioni  

Arieccoce. Con le ugole al vento e le cascate di fiori, con la platea ingioiellata e le mise sensazionaliste, le pseudo provocazioni e le banalità da copione, coi superlativi a pioggia e le lacrimucce distillate, gli omaggi ai cari estinti e i buonismi trasversali: tutti insieme appassionatamente a galleggiare su un mare di spot pubblicitari. Perché questo è il festival di Sanremo, e in fondo è confortante che sia qui anche quest’anno a dirci, come un Mattarella dequirinalizzato e molto più caciarone, che tutto procede: peggio di come dovrebbe, ma meglio di come potrebbe.

La prima serata è scivolata via trapuntata di déjà vu, tanto evanescente nei contenuti quanto estenuante nella durata. E meno male che c’erano le gustose gag fiorelliniche e il ritmo andante di Amadeus a sorreggerne l’impalcatura. Ma si sa, da queste parti gli eccessi sono sempre stati un ingrediente irrinunciabile. Ed essendo il Festivalone nostro una parentesi fuori dal tempo, questa prima serata avrebbe potuto tranquillamente essere messa in onda vent’anni fa. L’unica differenza, a parte le tecnologie applicate, è che a seguirla ci sarebbero stati molti meno giovani. E non so se questa novità – dovuta solo in parte alla genialata mediatica del Fantafestival –  sia cosa della quale dolersi o galvanizzarsi; di certo non sarebbe male che i sociologi ci riflettessero un po’ su.

Le canzoni? La prima impressione dopo questa prima tranche è che, tranne rare eccezioni, siano state scelte spostando ulteriormente il baricentro festivaliero dall’ortodossia sanremese a un ecumenismo stilistico non lontano dal pinzimonio macedonico. Le voci? Mediamente intonate, con pochi guizzi memorabili e ugole raggruppabili nei soliti comparti riconoscibili fin dai primi acuti: semplificando, i melodici e gli urlatori, più o meno come una sessantina d’anni fa, ma con una certa tendenza al miscuglio. Le melodie? Ondivaghe, tra rigurgiti da ancien regime e i modernismi del rap ammaestrato. I testi? Mediamente banalotti, con pochi lampi poetici e metafore degne di nota, ma alcuni scritti con indubbio mestiere e furbizia.

Nella prima serata ha votato la pseudo l’intellighenzia critica, dunque non è detto che i primi verdetti corrisponderanno a quelli finali. Del resto siamo ancora agli incipit e alle dichiarazioni d’intenti. Le prossime serate aggiungeranno altri dati sulla digeribilità del menù e sul valore nutrizionale di questo spettacolo dove non è mai chiaro il confine tra la kermesse canora e il varietà nazional popolare. Di certo ci sono i soliti favoritiin charta, più che in pectore – (Mahmood & Blanco ed Elisa su tutti, col sempiterno Morandi ad insidiarli) e c’è un capitano con la sua ciurma:  più che determinati a condurre felicemente in porto il glorioso bastimento. Iceberg all’orizzonte per ora non se ne vedono…

 

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