Felicia Impastato, una donna contro la mafia

La storia della mamma di Peppino Impastato, ucciso dalla mafia nel 1978. Una mamma che visse tutta la tensione tra il figlio e il marito Luigi, mafioso. Una donna che rifiutò la versione ufficiale del suicidio di suo figlio e lottò nei tribunali fino ad ottenere giustizia nel 2001 e 2002 con le condanne di Vito Palazzolo e di Tano Badalamenti. Le sue memorie nel libro La mafia in casa mia. Domenica 1° maggio 2022 su Rai1 è andato in onda il film per la tv con la storia di questa donna coraggiosa.
Felicia Bartolotta Cinisi (Pressenza - Agenzia stampa internazionale per la pace, la nonviolenza, l'umanesimo e la nondiscriminazione - licenza Creative Commons 4.0)

Una donna minuta e forte. Uno sguardo dolce e deciso. Felicia Bartolotta era una donna siciliana, nata in un paesino di provincia, Cinisi, alle porte di Palermo. Che ha segnato la storia della Sicilia e della lotta per la legalità.

Cinisi, città di mafia, come tanti altri centri, piccoli e grandi, dell’hinterland del capoluogo siciliano. Cittadine dove i diritti elementari erano misconosciuti se non graditi al potente di turno, dove tutte le scelte politiche e amministrative erano condizionate da chi era abituato a gestire potere. In un modo o nell’altro.

Cinisi era il regno di Tano Badalamenti, il boss che alcuni anni dopo sarebbe morto in carcere negli Stati Uniti. Abitava nella zona centrale del paese. Poco distante abitava la famiglia di Luigi Impastato. Luigi era un mafioso, aggregato al clan locale. Felicia scoprì forse troppo tardi tutto ciò che era legato alla vita del marito. Non si piegò mai alla mafia, ma quando i figli crebbero scoppiarono le contraddizioni.

Luigi, Felicia e Peppino Impastato (CentroImpastato.it – wikipedia)

Peppino, fin dai 15 anni, cominciò a ribellarsi al padre, ad occuparsi di politica, a fare i primi comizi. Fondò Radio Aut e da quei microfoni sbeffeggiava la mafia locale, parlando di «TANO SEDUTO» e citando il comune come «Maffiopoli». Più volte il padre lo cacciò di casa, più volte Felicia visse la tensione tra il marito e il figlio.

Fino a quando Luigi morì, vittima di un incidente stradale. Non venne mai dimostrato se si trattò di incidente o altro. Al funerale, Peppino rifiutò di dare la mano ai mafiosi. Poco dopo, decise di candidarsi alle elezioni comunali nelle liste di Democrazia Proletaria.

Il 9 maggio 1978 Peppino Impastato venne ucciso. La sua auto venne fermata da un passaggio a livello, i killer lo portarono fino ad un casolare e lo finirono a legnate. Poi posizionarono il suo corpo sui binari della ferrovia con dell’esplosivo. Quando venne ritrovato dai carabinieri, la versione ufficiale fu che Peppino era un terrorista, che preparava un attentato. Poi si parlò di suicidio. Nessuno però guardò le mille anomalie di quel presunto suicidio (ad esempio le mani intatte), nessuno ispezionò il casolare dove Peppino era stato ucciso e dove si trovava ancora il suo sangue.

In quello stesso giorno a Roma venne ritrovato il cadavere di Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse: la contemporaneità di quel drammatico evento nazionale fece passare in secondo piano la notizia di Cinisi, peraltro poi classificata come suicidio.

Felicia rifiutò la versione ufficiale che veniva raccontata, mentre tutti a Cinisi conoscevano la “verità”. Gridò la verità con la forza di quella piccola donna di provincia, priva di cultura, ma con una grande forza interiore. Ed un chiaro confine tra la legalità e il malaffare.

Quelle «sfumature opache» che si muovono tra mille contraddizioni furono cacciate via dalla sua vita.  Ebbe il coraggio di dire la verità e venne isolata dai suoi stessi amici. Gridò forte la sua verità. Lottò per la giustizia. Una giustizia giudiziaria arrivò solo nel 2001 e nel 2002 con le condanne di Vito Palazzolo e di Tano Badalamenti.

Quella piccola donna forte e minuta ottenne quanto voleva. Si spense due anni dopo. Finché visse, continuò ad abitare nella casa di famiglia, trasformata però in una «Casa Memoria», che oggi porta il nome di Felicia e Peppino Impastato. «Non ho mai cercato la vendetta, ma la giustizia sì» disse in un’intervista poco prima di morire. E aggiunse: «La testa non l’ho abbassata mai, l’ho tenuta sempre in alto».

Grazie a lei, al figlio Giovanni, all’azione degli amici di Peppino, tra cui Umberto Santino e Anna Puglisi, che dirigono ancora oggi il Centro Impastato di Palermo, la verità ha trionfato. E sono state scoperte le presunte connivenze, le coperture, pur se mai dimostrate processualmente, di esponenti dell’Arma dei carabinieri.

Ad Anna Puglisi e Umberto Santino Felicia ha affidato le sue memorie, contenute nel libro La mafia in casa mia (Di Girolamo editore 2018)

Quarantaquattro anni dopo lo scenario siciliano è cambiato. La mafia c’è ancora, ma con una veste diversa. In quella intervista, con straordinaria lucidità, Felicia disse: «Se non cambia il governo, la mafia non arrivano a sterminarla» intendendo con ciò la necessità di un vero cambio di rotta nella volontà di combattere il fenomeno mafioso.

«Ora a Cinisi Peppino è amico di tutti» disse Felicia. Perché quella verità che tutti conoscevano, prima temuta e nascosta per paura, ora è diventata «altro». Ora può essere palesata senza paura. Grazie a Felicia. Alla sua determinazione. Alla forza interiore di quella donna piccola e minuta che non si piegò mai alla mafia e che difese i suoi figli e la loro scelta controcorrente.

Che svolse una grande «azione politica». Quella capace di dare una svolta alla storia.

Domenica 1° maggio 2022 su Rai1 è andato in onda il film per la tv con la storia di questa donna coraggiosa.

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