Federica Comazzi, lo sport unisce il mondo

L’attività fisica vissuta come relazione con la natura, con l’altro e con l’Alto. Giocatrice agonistica di rugby, è coordinatrice internazionale di Sportmeet for a United World, la rete internazionale di sportivi e operatori dello sport espressione dei Focolari.
Federica Comazzi

Federica è una giovane ligure, residente a Milano, dove segue il primo anno di dottorato in Scienze dell’esercizio fisico e dello sport. Precedentemente ha studiato Educazione sociale, Consulenza pedagogica per la disabilità e la marginalità, e Sport e intervento psicosociale. Sin da bambina, lo sport ha contrassegnato la sua vita. Per anni ha fatto nuoto, poi ha scoperto la sua passione: la danza classica.

Federica ha una sorella gemella, Mikaela, che a sua volta faceva ginnastica artistica. Pur essendo cresciute nello stesso ambiente, non si vedevano quasi mai a causa del ritmo delle lezioni. Poi hanno trovato una strada comune, una passione costruita insieme: 13 anni fa hanno iniziato a giocare a rugby, e dal divertimento è diventato qualcosa di più, condiviso anche con le amiche.

Diversamente da quanto possa sembrare, Federica spiega che il rugby non è uno sport violento, bensì accogliente e che non si limita a coinvolgere solo i giocatori ma anche tutta la comunità che lo respira: «Le persone sono una squadra anche fuori dal campo, si impegnano in realtà sociali e nello sport al di là della partita».

SportmeetEvidenzia che la realtà di squadra è fondamentale, perché senza un sostegno risulta difficile giocare. In questo senso, le relazioni acquisiscono un ruolo principale, si impara a vivere con l’altro in maniera responsabile e a rendersi conto di chi si ha davanti, a tal punto che «fare sport è fare relazione», afferma Comazzi. Nel rugby il contatto fisico è inevitabile, ma fermare l’altro con il proprio corpo diviene «come un abbraccio», racconta Federica.

In un certo modo, questo sport la rimanda alla sua passione originale: «Nella danza classica devi avere un perfetto controllo del tuo corpo, una perfetta concezione di ogni piccola parte. Il gesto tecnico e atletico del rugby va eseguito alla perfezione, ha una bellezza tutta sua. Così, l’eleganza di questo gesto mi riporta a quell’eleganza del passo di danza classica; sento questa connessione tra le due cose, una grande consapevolezza del mio corpo e della mia femminilità».

Questa presa di coscienza del proprio corpo e l’approccio a esso l’ha potuta osservare, inoltre, nell’allenare i bambini: «Quelli che all’inizio avevano più difficoltà nell’affettività, ovvero nel contatto con i compagni, attraverso la loro esperienza nel rugby, in cui sei obbligato a fare contatto con l’altro, piano piano hanno imparato a uscire fuori da questi blocchi. Lo sport li aiuta, senza stravolgere la loro personalità; imparano alcune dinamiche relazionali differenti e hanno la possibilità di superare il proprio limite, guadagnando una competenza sociale che servirà loro non solo nell’ambito dello sport».

In più, educarli sin da piccoli attraverso lo sport comporta una grande potenzialità di cambiamento della società, dato che è uno strumento che permette di realizzare che siamo fatti e funzioniamo in modi diversi. Secondo Comazzi, «la nostra sfida è riuscire a capire il mondo degli altri, integrare le nostre realtà».

A questo proposito, l’attività sportiva è un metodo funzionale per favorire l’inclusione sociale e la costruzione di un mondo più rispettoso e unito, ma come avviene questo passaggio? Lei, avendo messo insieme attraverso lo studio due aree che ama, la pedagogia e lo sport, ci sa dire che «i modi sono tanti. Lo sport è pragmatico, di per sé non è produttore, è un contenitore. Cioè, non per forza è positivo o negativo, dipende dall’utilizzo che se ne fa: se viene applicato per trasmettere valori come quello della pace, quelli saranno i risultati che poi porterò alla mia comunità nella mia vita quotidiana. Lo sport ha il potere di cambiare il mondo se praticato con la volontà di farlo».

Perciò, un altro ambiente in cui Federica ha visto la potenza trasformatrice dello sport è stato il carcere: l’allenamento diventa un modo per consolidare l’importanza delle regole, perché all’interno di un contesto circoscritto uno è disposto ad accettarle per far sì che il gioco abbia senso e ci sia divertimento, apprendendo questo aspetto valoriale.

Lo sport allo stesso tempo viene usato come valvola di sfogo in momenti di stress emotivo, ed è utile per avviare percorsi inclusivi di integrazione della diversità, ad esempio con persone in situazioni di marginalità, in progetti nelle case famiglie o nei centri per i migranti.

Quando Comazzi ha scelto il percorso universitario, aveva in cuore il desiderio di riavvicinare il mondo della disabilità, che per lei non è mai stato lontano, a quello delle persone normodotate. Racconta che il suo primo amico è stato un ragazzo con la sindrome di Down, che oggi è un atleta importante. E anche un suo zio ha una sindrome rara. Per cui lei voleva che queste due realtà vivessero insieme. Così ha fatto diverse esperienze lavorative con persone con malattie psichiche e disabilità fisiche, e si è resa conto che la sfida è incidere sul territorio, sensibilizzando e permettendo alle persone con disabilità di praticare sport insieme ad altri. Con questa modalità, lo sport diventa una scusa per vedersi, in un contesto in cui le relazioni hanno la parte principale.

Ci sono diversi esempi di sport inclusivi, come il baskin, pensato per permettere a persone con diverse disabilità di giocare insieme a persone normodotate, in squadre miste, in cui ogni individuo è utile per la propria squadra. Anche nel rugby a livello internazionale sta cominciando a diffondersi il gioco misto tra persone con disabilità intellettive e normodotate.

Da pedagogista, Federica afferma che l’attività motoria praticata in relazione è un grande strumento per favorire la crescita individuale e collettiva, un metodo di imparare facendo, che influenza la persona in maniera integrale, non solo con gli input cognitivi ma anche attraverso il corpo. Inoltre, può educare ad avere un ruolo attivo nella società, motivando a intraprendere azioni a favore della comunità e della pace, spingendo verso una cittadinanza attiva e globale.

È proprio questa la missione di Sportmeet, che, comprendendo lo sport come un fattore di aggregazione, è coinvolta in diversi progetti sociali sparsi per il mondo, alcuni dei quali stanno per nascere, come un progetto europeo nell’area dei Balcani, o un altro con delle comunità indigene in Sudamerica. Infatti, l’associazione si prepara per lasciare il più grande spazio possibile alle culture indigene durante il congresso che si terrà in Brasile dal 17 al 20 agosto 2023.

Comazzi
Federica Comazzi durante una partita di rugby. Foto: Caterina Taglienti

«Che vuol dire essere portatori di fraternità? Non è un quieto vivere, ma imparare a vivere in maniera responsabile le relazioni, non solo con le persone ma anche con l’ambiente», esprime la coordinatrice di Sportmeet. Una mentalità che è stata apprezzata anche da papa Francesco quando nel 2021, nell’ambito del Villaggio per la Terra di Earth Day, gli hanno consegnato il dado di sports4peace, uno dei progetti più importanti dell’associazione.

Per Federica c’è trascendenza nello sport, il gesto dello sforzo fisico diventa un passaggio in più, un andare verso l’Alto che, nell’immersione nella natura e nell’entrare in relazione con l’altro diviene un andare incontro a Qualcuno, con la q maiuscola. A lei ha insegnato il valore dei sacrifici, della responsabilità nel portare avanti un impegno, con costanza e senza arrendersi, perché quello che si cerca più avanti si otterrà.

Ha imparato l’arte della pazienza, perché si è resa conto che noi esseri umani siamo pensati per fare le cose lentamente. In questo senso, gli sportivi sanno rispettare i tempi della natura, e conoscono anche cosa vuol dire allenarsi con perseveranza per raggiungere un obiettivo.

In questa maniera, Federica Comazzi è riuscita a far combaciare passione e vocazione, mettendosi col suo lavoro a servizio della società e del mondo unito. È questo amore per ciò che fa che le permette di armonizzare il rugby agonistico con lo studio, la coordinazione internazionale di Sportmeet e il lavoro come allenatrice con i più giovani. E la sua intenzione è quella di continuare, perché convinta che la rete sportiva espressione dei Focolari sia a livello culturale portatrice di una ricchezza che va custodita con impegno e devozione. Questo è il suo desiderio: che «Sportmeet possa essere questo campo da gioco dove l’aspetto primario è la relazione».

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