Fede, luce e amicizia a tutta prova

Articolo

Avevo sentito parlare in varie occasioni della consistente presenza a Roma di Fede e Luce, piccole comunità legate a Jean Vanier. La particolarità sta nel fatto che ciascuna di esse è composta in parte da persone con disabilità mentale, in parte dai loro famigliari (genitori, fratelli, sorelle…) e in parte da amici. Non vivono sotto lo stesso tetto, ma si frequentano e si incontrano a ritmo regolare. Ma in che cosa si distingua da altre associazioni assistenziali e di volontariato che si dedicano ai disabili, lo vengo a scoprire nelle due ore di conversazione che Mariangela Bertolini mi dedica nella redazione di Ombre e Luci, il periodico che dirige dal 1983, un ufficio da cui si gode una magnifica veduta di San Pietro. La conversazione si fa subito aperta, calorosa. Sono sempre imbarazzata – dice – quando mi domandano di spiegare cosa sia Fede e Luce. Un’associazione? Un movimento? Uno spirito? Io parlerei piuttosto di un cammino. Non a caso il titolo del nostro periodico parla di ombre e di luci. Delle molte ombre e delle poche luci, dove una piccola vittoria, un piccolo progresso ti ripaga di mille sconfitte. Mariangela Bertolini non parla di sé; ed anche quando lo fa, hai l’impressione che voglia tenersi in disparte, sullo sfondo. Non si direbbe insomma che su di lei gravi la responsabilità di una rivista che vuole portare un messaggio di speranza alle famiglie ed agli amici delle persone handicappate, come recita il sottotitolo, e che da trent’anni sia un punto sicuro e prezioso di riferimento per innumerevoli famiglie. Esistono, è vero, oggi più di trent’anni fa, molti servizi per le persone disabili. Scarso è però l’aiuto ai genitori, alla famiglia nel suo insieme, nell’aspetto più delicato – e più difficile – che è quell’intrico di sentimenti, quella condizione dell’animo in cui vengono a trovarsi. Impotenza, senso di colpa, rabbia, spesso ribellione e rifiuto si scontrano e si accavallano come in un mare in burrasca. Sì, tutti questi sentimenti distruttivi io li provai – dice – alla nascita della mia prima bambina, Maria Francesca. Era plurihandicappata, e il suo arrivo ci sconvolse letteralmente, a dir poco. Per fortuna, mio marito mi fu vicino, accolse subito la bambina così come era, mentre a me per accettarla ci vollero sei anni. Non avevo nemmeno più lacrime, ero in completa rivolta. Paolo, suo marito, la convinse a fare un viaggio a Lourdes, sperando che almeno trovasse un po’ di di pace. Fu lì che – prosegue – durante una processione, una mamma francese, che portava in carrozzella una bambina ancora più grave della mia, mi mise in mano un biglietto. Era l’invito ad un incontro di genitori. Era un incontro di Fede e Luce, fondato proprio in quegli anni da Jean Vanier. Iniziava a far parlare di sé questo straordinario personaggio, brillante ufficiale della marina canadese, e docente di filosofia all’università di Toronto, che si era lasciato convertire dagli ultimi (come lui spesso ama dire) a tal punto da scegliere di vivere assieme a persone con un handicap mentale. Mariangela Bertolini non saprebbe descrivere cosa avvenne durante quell’incontro. Non so – dice -, forse era il clima di Lourdes. Per la prima volta, mi sono trovata a parlare e ad ascoltare altre mamme, altri genitori nelle mie stesse condizioni. Mi si presentava un mondo diverso, capovolto, era come accendere una luce nel buio più fitto. E alla fine il Magnificat cantato da tutti quei genitori mi fece salire un groppo alla gola. Dove trovavano la forza, il coraggio di magnificare, lodare e ringraziare il Signore malgrado tutto nella loro vita attestasse il contrario? Dopo tanti anni, mi ritrovai il volto rigato di lacrime. Domenico Salmaso Mariangela torna a casa diversa, cambiata. Avevo trovato il bandolo della mia matassa, e non volevo tenerlo per me. Iniziai a guardarmi attorno, a fermarmi a parlare con i genitori dei bambini della scuola frequentata da mia figlia. Intravedevo un terreno duro da coltivare, pieno di sassi e ricoperto di spine. Ma la disperazione che leggevo negli occhi di tanti genitori, che era stata anche la mia, era troppo grande perché potessi fermarmi. Sapevo fin troppo bene che un rifiuto è il più delle volte un grido di aiuto. Qualche tempo dopo, finalmente venne a Roma Jean Vanier. Fu alla fine dell’incontro che, prendendomi in disparte, mi propose di farmi carico di quel seme di Fede e Luce che aveva iniziato a germogliare in tanti cuori, anche nella Città eterna. Io, incredula, non seppi far altro che dire di sì. Ed ora che Maria Francesca (Chicca) non c’è più, a Fede e Luce da tutto il mondo continuano a chiamare questa donna di vasta cultura ed esperienza, giornalista e scrittrice, oltre che nonna, come la mamma di Chicca. E a ragione. La sua breve vita ha lasciato una traccia profonda nell’esistenza di tanti amici che alla scuola di Jean Vanier hanno appreso ad accostarla senza pregiudizi e senza falsi pietismi. Hanno imparato ad ascoltare i suoi silenzi, di lei che a 16 anni non sapeva ancora parlare, mangiare, dormire. Che non ne voleva sapere di crescere. Hanno cominciato a parlarle, a comunicare attraverso e oltre l’apparenza del suo nudo esistere. A guardare senza timore dentro i suoi miti occhi grigio-azzurri, grati di averla conosciuta e incontrata. Perché è stata lei ad essere il primo, inconsapevole anello di una catena di amici a tutta prova, che senza esaltarsi per le vittorie e senza abbattersi per le sconfitte hanno contribuito a creare una cultura nuova sul disabile, soprattutto mentale, aiutando tanti a vederlo con l’occhio di Dio. A scoprire cioè, nell’accostarlo con rispetto, la bellezza – per dirla con Jean Vanier – di questa persona fragile, screditata, rifiutata, che vive però valori di autenticità e di verità che noi abbiamo dimenticato. DUE PAROLE SU FEDE E LUCE Nel 1968 alcuni genitori ed educatori, tra cui Jean Vanier e Marie-Hélène Mathieu, decidono di organizzare un pellegrinaggio a Lourdes per persone ferite nell’intelligenza, i loro genitori e i loro amici.Tre anni dopo, nel 1971, per la festa di Pasqua, 12 mila persone si ritrovano intorno alla grotta di Massabielle: 4 mila fra loro hanno un handicap mentale.Tre giorni di preghiera, di festa, di incontro senza frontiere di paese, di età, di intelligenza, di ambiente. Una speranza nasce da questa esplosione di pace e di gioia, e dal riconoscimento delle ricchezze della persona disabile. Le comunità formatesi per questo pellegrinaggio continuano a incontrarsi. A poco a poco – attraverso diversi momenti vissuti insieme: incontri, gite, campi di vacanza, pellegrinaggi – i legami di amicizia si rafforzano, nuove persone arrivano e le comunità si moltiplicano. Oggi le comunità Fede e Luce sono circa 1500, in oltre 70 paesi di tutti i continenti. Scopo essenziale è la creazione di profondi legami fraterni tra le persone con disabilità intellettive, le loro famiglie, i loro amici. In tale ottica Fede e Luce collabora con le associazioni che aiutano la persona disabile a sviluppare le sue capacità fisiche e psichiche e che cercano di darle lo spazio cui ha diritto. Il movimento, sorto nella Chiesa cattolica, riunisce in molti paesi cristiani di confessioni diverse e, ovunque, accoglie persone in cammino verso la fede. Per informazioni, ci si può rivolgere alla segreteria nazionale di Fede e Luce (Via Cola di Rienzo, 140 – 00192 Roma, telefono e fax 06.3235349), che potrà mettere in contatto con la comunità più vicina alla rispettiva zona di residenza. Famiglia cercasi… Sta diventando una brutta abitudine nelle famiglie, come se la cosa fosse normale, avere il fidanzato di mamma o la fidanzata di papà: come ridare alla famiglia la vera dignità e vocazione di sacramento? . Giuseppina Intorno ai tanti e così diversi modelli di convivenza, che coesistono nella nostra società, spesso, e a ragione, si accendono polemiche e domande. Profonde trasformazioni sociali rendono sempre più fragile la famiglia tradizionale, fondata sul matrimonio, con un aumento delle separazioni, del numero delle famiglie con un solo genitore e di quelle che si ricostituiscono con partner diversi; si verificano così sempre più spesso situazioni come quelle che tu descrivi. Come porci di fronte a questa rapida trasformazione della famiglia così com’era intesa fino ad alcuni anni fa? Dobbiamo prima di tutto comprendere che sotto ogni crisi o processo evolutivo si nasconde spesso una ricerca sincera di valori. Anche sotto la crisi che ha portato alla perdita del senso della famiglia si possono intravedere un desiderio di rapporti veri, un rifiuto del formalismo e della rigida divisione dei ruoli, un recupero del sentimento, ecc. Paradossalmente è proprio l’aver messo a fondamento della famiglia l’amore tra i coniugi (e non più la sistemazione sociale o il desiderio di avere figli) a creare delle attese di felicità, che spesso i singoli membri di essa non sono in grado di soddisfare.Tutti cerchiamo questo amore, ma per raggiungerlo imbocchiamo tante volte delle strade sbagliate. Bisogna realmente rimboccarci le maniche senza lasciarsi travolgere dalla nostalgia del passato, ma neanche dalla critica sterile, dalla sfiducia, dal disimpegno. Approfondendo sempre di più le cause di questi grandi cambiamenti culturali e sociali, dobbiamo cercare di diventare semi di consolazione per tutti coloro che sono costretti a subire situazioni non facili (coniugi abbandonati, figli con un solo genitore, ecc.) e acquistare una maggiore consapevolezza che solo la testimonianza di sposi, che hanno sperimentato personalmente la forza del perdono, della stima reciproca, del ricominciare per primi ad amare l’altro anche nei momenti più bui, può ridare alla famiglia il suo vero valore ed indicare a tanti che la felicità più duratura nasce dal fare spazio a chi ci vive accanto con i suoi inevitabili limiti, ma anche con le sue ricchezze tutte da scoprire. Certamente anche le istituzioni dovrebbero dare il loro contributo con politiche familiari adeguate e con una maggiore attenzione ai giovani, per aiutarli in una maturazione globale della persona, che li renda capaci di relazionarsi con gli altri in una maniera giusta; tante volte, infatti, il rapporto di coppia va in crisi perché si è incapaci di mantenerlo in vita quando si riduce il sentimento o quando insorgono le inevitabili difficoltà della vita. Spaziofamiglia@cittanuova.it

I più letti della settimana

Osare di essere uno

Chiara D’Urbano nella APP di CN

Focolari: resoconto abusi 2023

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons