Fede e Lògos: nuovo incontro?

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Le ragioni, le scienze e il futuro delle civiltà. Questo il titolo dell’ottavo Forum del Progetto culturale promosso dalla Conferenza episcopale italiana, tenuto a Roma il 2 e 3 marzo scorsi. Parlare di rapporto tra fede e ragione, porta immediatamente nel mezzo del grande e variegato dibattito pubblico che è attualmente in corso non solo in Italia, ma anche in Europa e nel mondo. A Strasburgo, ad esempio, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa sta preparando una risoluzione sui rapporti fra Stati, religioni e individui. In Italia, le pagine dei giornali sono continuamente occupate da questioni (sulla laicità dello Stato, sulla bioetica, ecc.) che, in un modo o nell’altro, toccano il tema evocato dal forum. Abbiamo posto al prof. Piero Coda, che ha tenuto una relazione all’interno del forum, alcune domande che riguardano la radice di queste problematiche, e cioè il rapporto tra ragione e fede. Il prof. Coda è ordinario di Teologia dogmatica presso la Pontificia Università Lateranense di Roma; presidente dell’Associazione teologica italiana, è segretario della Pontificia accademia di teologia. Professor Coda, nell’attuale dibattito sul ruolo pubblico della fede c’è chi sostiene che fede e ragione siano, fra loro, inconciliabili. Come rispondere? Chi denuncia l’inconciliabilità tra ragione e fede, mostra, a fatti, di non avere bene inteso i significati di entrambe. Non solo: è evidente che non avverte – a causa di pre-convinzioni che troppo spesso si danno irrevocabilmente per acquisite – l’istanza esattamente opposta che attraversa le domande culturali del nostro tempo. Quell’istanza che, con coraggio e lungimiranza, Benedetto XVI ha espresso dicendo che il compito che oggi ci sta di fronte e che investe – senz’altro in modi differenti – la cultura d’ispirazione cristiana e la cultura d’ispirazione laica è quello di un nuovo incontro tra fede e lògos. Per eseguire tale compito in modo pertinente e nel reciproco rispetto, è chiaro che occorre prima di tutto accordarsi sul significato che si attribuisce alla fede e alla ragione. Che cosa intende dire il papa esortando a un nuovo incontro tra fede e lògos?. La prima cosa che mi pare importante sottolineare è che questo obiettivo non va inteso come un passo indietro rispetto al Vaticano II (come qua e là si teme), ma come un coerente e necessario passo in avanti. Infatti, l’ultimo concilio, prendendo coraggiosamente atto della svolta epocale che oggi c’investe, ha orientato la Chiesa cattolica a imdi boccare la strada del diá-logos; L’invito di Benedetto XVI ci orienta a tirare le estreme conseguenze della strategia conciliare. Si tratta, infatti, di far scaturire dal Dna della fede cristiana, custodito e trasmesso dalla grande tradizione ecclesiale, l’energia intellettuale e morale capace d’inserire il contributo trainante della fede stessa nel pubblico dibattito del nostro tempo: un areopago allo stesso tempo inedito, impervio e indeciso. Le sembra che nella consapevolezza ecclesiale di oggi questa sfida sia già stata responsabilmente acquisita? Credo che essa vada adeguatamente coltivata, promossa e sviscerata nelle implicazioni che prevede e nelle scelte che impone. Benedetto XVI ci offre una direttrice di marcia preziosa e precisa, che del resto è in sintonia con il cammino bimillenario sperimentato – pur tra luci e ombre – dalla Chiesa di Gesù: si tratta di quel ritorno alla sorgente e alla forma originaria della fede, che ci è reso disponibile nell’incontro con Gesù Cristo e nel significato che l’evento di Gesù Cristo viene ad assumere, per opera dello Spirito, in ogni epoca storica. La fede cristiana, in effetti, possiede – e può dunque anche oggi mostrare – la sua nativa amicizia nei confronti dell’intelligenza e della libertà, solo quando s’immerge di nuovo, e senza remore, nel battesimo della morte e della risurrezione di Cristo. Può fare degli esempi? Lo stesso Benedetto XVI ce ne ha offerti.Mi limito, qui, a ricordare uno straordinario passaggio del suo discorso al Convegno di Verona; guardando alla pasqua di Gesù, vi ha evidenziato la più grande ‘mutazione’ mai accaduta, il ‘salto’ decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, l’ingresso in un ordine decisamente diverso, che riguarda anzitutto Gesù di Nazareth, ma con lui anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo. Rileggiamo insieme un passaggio che mi pare centrale: ‘Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me’ (2,20). È stata cambiata così la mia identità essenziale, tramite il battesimo, e io continuo ad esistere soltanto in questo cambiamento. Il mio proprio io mi viene tolto e viene inserito in un nuovo soggetto più grande, nel quale il mio io c’è di nuovo, ma trasformato, purificato, ‘aperto’ mediante l’inserimento nell’altro, nel quale acquista il suo nuovo spazio di esistenza. Diventiamo così ‘uno in Cristo’ (Gal 3, 28), un unico soggetto nuovo, e il nostro io viene liberato dal suo isolamento. ‘Io, ma non più io’: è questa la formula dell’esistenza cristiana fondata nel battesimo, la formula della risurrezione dentro al tempo, la formula della ‘novità’ cristiana chiamata a trasformare il mondo. Così il papa. Ebbene, queste parole devono restare soltanto una bella declamazione spirituale? Niente affatto! Esse racchiudono l’evocazione – tutta da esplicitare, senza dubbio – di un processo anche culturale in atto con l’apparire stesso, sullo scenario della storia, della fede in Gesù che chiede sempre di nuovo l’indispensabile e creativo contributo del nostro pensare e agire. Come attivare, allora, realisticamente, un nuovo incontro tra fede e lògos? Per mostrare l’efficacia storica di una fede che, per sé, è amica – e la più intima e decisiva! – dell’intelligenza e della libertà, la fede è chiamata a misurarsi su quella forma compiuta di lògos che è introdotta nella storia dal Lògos che carne si è fatto (Gv 1,14), è stato crocifisso ed è risorto, proprio per lievitare dal di dentro il cammino dell’intelligenza e della libertà umana. È proprio in questa direttrice di marcia si può incontrare, da un lato, la razionalità scientifica moderna; ma anche, dall’altro lato, la razionalità che è custodita – in verità con sempre maggiore fatica – dagli universi culturali altri rispetto a quello – che potremmo chiamare occidentale – forgiato in simbiosi con la fede cristiana. Ma fino a che punto, secondo lei, queste altre razionalità sono disposte all’incontro? La razionalità scientifica, ad esempio, viene presentata sempre più spesso come l’unica capace di dare risposte certe. La razionalità scientifica moderna ritaglia per sé uno sguardo sulla realtà, e un metodo di osservazione e di trasformazione della stessa; ma tale sguardo – se correttamente pensato e vissuto – non può pretendere all’assolutezza e alla totalità. Certamente si deve rispettare la specifica identità e il metodo della razionalità scientifica, ma essa va inserita dentro l’orizzonte di quella razionalità più ampia che tende ad esprimere l’integralità dell’umano. E la fede oggi è chiamata a propiziare proprio questa forma di razionalità aperta a tutto ciò che è umano; e lo può fare se riesce a disincagliarsi da quella astratta separazione tra il sapere della fede e il sapere delle scienze: una separazione che diventa anche contrapposizione, perché impropriamente fede e scienze vengono poste sullo stesso livello. Si tratta invece di rispettare l’identità e il metodo di ogni disciplina; ciascuna forma del sapere esprime, – al proprio specifico livello – qualcosa della persona e ciascuna, per la sua parte, attinge qualcosa di vero circa la realtà. È possibile approdare a una conoscenza convergente e dinamicamente articolata della realtà stessa, in uno spazio relazionale dove ogni sapere, aprendosi con il proprio metodo e i propri contenuti agli altri saperi, possa adeguatamente esprimersi e offrire il proprio contributo al progetto comune. Alimentando così un autentico dialogo e una libera cooperazione tra le discipline, che tali appunto sono in quanto operanti nell’orizzonte di una razionalità ampia perché illuminata, in radice, da quel Lògos da cui scaturisce e verso cui tende ogni autentica ricerca della verità. Ma un tale incontro non può essere casuale: non crede che abbia necessità di venire perseguito consapevolmente e coltivato in luoghi specifici? Certamente; proprio da queste osservazioni si comprende la necessità di dar vita a comunità di formazione, di studio e di ricerca in cui anche culturalmente prenda forma quel soggetto più grande – per dirla con le parole di papa Ratzinger prima citate – che si costituisce in virtù dell’esperienza di fede, ma è aperto e accessibile a chiunque si ponga in ascolto della verità: comunità nelle quali la relazione di amore – nel senso dell’amore vero e reciproco – tra le persone comunichi il proprio timbro alla relazione fra le discipline.

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