Far risorgere la terra

La proposta di un missionario. Economia di comunione messa in atto da una comunità parrocchiale e nelle famiglie. Uomini e donne che vivono come i primi cristiani. I frutti della Pasqua.
Lavoro della terra

Tra il 1977 e il 1978 partecipai ad Albano al primo corso di formazione del Movimento dei Religiosi. Tornai in Messico nei primi giorni di giugno 1978, destinato alla comunità saveriana di San Juan del Rio, Querétaro.

Nell’agosto 1985 fui inviato ad un’altra comunità saveriana, nella missione di Santa Cruz, Hidalgo, diocesi di Huejutla. L’unico gruppo organizzato era il gruppo dei catechisti e il superiore mi disse: “Perché non fai un gruppo di famiglie, come a San Juan del Río?”.

Cominciai a riunire delle famiglie alla sera, quando gli uomini terminavano di lavorare nei campi. Partecipavano fino a cento persone ogni settimana, tanto che la spiritualità dell’unità si diffuse tra tanti uomini e donne.

Vedendo la mancanza di medici che curassero le persone, pensammo di aprire un dispensario medico con medicine a basso costo, e di cercare un dottore che vivesse con noi nella missione. Si rese disponibile una dottoressa di Città del Messico.

Assumemmo anche tre assistenti sociali, formate dalle religiose di Huejutla, per aiutare le persone nelle relazioni con le strutture statali.

Dopo due anni mi nominarono parroco della missione e cominciai a formare alla spiritualità dell’unità i catechisti delle comunità. Alcuni presero molto sul serio la vita di unità. 

Far risorgere la terra 

Rimaneva da affrontare il problema della povertà della gente e non avevo la benché minima idea di come trovare una soluzione. La gente possedeva terreni, ma pochi venivano coltivati e li affittavano ai ricchi allevatori di bestiame. Il compenso però era molto basso e la gente non sapeva cosa fare per lavorare i terreni.

Io stavo sempre in ricerca di una soluzione per la coltivazione delle terre, per ricavarne il mais sufficiente per vivere.

Ogni mese andavo alla riunione dei religiosi nel focolare a Città del Messico. In una di queste riunioni ci raccontarono la visita di Chiara in Brasile e della proposta dell’Economia di Comunione.

Durante il viaggio di ritorno a Huejutla, la mia mente era tutto un turbine e lentamente mi resi conto che c’era una possibilità di soluzione: mettere in comune le terre e lavorarle insieme.

Era il periodo di Pasqua e nelle omelie, parlando della risurrezione di Gesù, dicevo che ancora non era Pasqua per la gente indigena, perché la “Madre Terra” era morta.

La vera Pasqua sarebbe stata quando la terra sarebbe risuscitata e avrebbe portato frutto. 

Costruire la comunione 

Cominciai a riunire i catechisti di tutte le comunità e parlai loro della necessità, affinché dessero frutto, di mettere in comune le terre e di lavorarle insieme.

La frase ispiratrice fu quella degli Atti degli Apostoli: “i primi cristiani mettevano in comune i beni e non avevano poveri tra loro” (cf. 4, 32-35).

A conclusione del periodo di sensibilizzazione, parlai con quelli che, mi pareva, avevano recepito di più il messaggio e volevano sperimentarlo.

Terminata questa prima fase, passai alla seconda: sensibilizzare le autorità civili delle comunità. Riunì tutti loro per gruppi di comunità e presentai la proposta per sapere se avessero appoggiato il progetto, lasciando che le diverse comunità lo traducessero in realtà.

Alla fine del giro di conversazioni con i catechisti e con le autorità, riunì coloro che avevano accolto lo spirito della comunione dei beni.

Tra i presenti, dei quali la maggior parte viveva la spiritualità dell’unità, facemmo un censimento sulla quantità di terra che ciascuno possedeva e su quanta terra fossero disposti a mettere in comune per lavorarla insieme. Tredici comunità indigene decisero di avviare il progetto.

Nel gruppo giovanile della missione c’era un giovane, il quale, avendo terminato la laurea in agricoltura, era preparato sulla composizione dei terreni, sui semi, sulle medicine per gli animali.

Cominciò a fare uno studio sui terreni, per capire ciò che si poteva seminare e fu aiutato dal maestro di agronomia della sua scuola, che era molto interessato all’esperimento.

Ci riunimmo molte volte con coloro che volevano mettere in comune le loro terre, per far conoscere i differenti progetti: semina di mais, di peperone e di sorgo. Facemmo poi un secondo giro di conversazioni sull’allevamento di animali, suini, pecore, polli, per vedere quali potevano entrare nel progetto. 

Il lavoro della terra 

Comprammo alcune zappe per lavorare la terra, due cavalli e degli aratri per muovere la terra dura da secoli.

Decidemmo quale terreno cominciare a lavorare. Gli uomini delle cooperative si riunirono tutti insieme per lavorare e seminare il primo terreno. Terminato il primo, tutti insieme passammo al secondo e così al terzo, ecc.

Cominciammo a seminare mais, fagioli, sorgo, peperoni, patate e cipolle, secondo le istruzioni del tecnico e del suo maestro.

Al momento del raccolto si dava a ciascuno una parte. In una comunità, per esempio, vennero raccolti nove sacchi di fagioli neri, quelli che piacevano di più alla gente. Un sacco di fagioli ad ogni persona della cooperativa e uno a me, per la novità che avevo portato.

Questo sacco lo passavo a un altro gruppo che voleva cominciare a seminare fagioli.

Così continuava la semina e il raccolto. 

Allevamento di animali 

Nella comunità di Santa Cruz affittammo a tempo indeterminato un terreno, proprietà di una maestra che aveva aderito al progetto. Vi costruimmo in cemento una stalla per maiali. Un amico di San Juan del Río, mio antico discepolo, mi regalò 105 porcellini di differenti età.

I gruppi che volevano allevare i maiali dovevano preparare una stalla con un pavimento di cemento e tetto, con abbeveratoi, ecc.

A ciascun gruppo davamo cinque porcellini da allevare fino al raggiungimento di 80 kg. Raggiunti gli 80 kg. li vendevamo al mercato, ad un prezzo un poco più basso, perché anche le persone più povere potessero beneficiare della comunione di beni.

Coloro che volevano continuare l’allevamento nelle cooperative, potevano lasciare un maiale grande per iniziare un altro turno.

Coloro i quali invece volevano terminare questo lavoro, si portavano via i loro maiali e terminava la loro appartenenza al gruppo. E si iniziava un altro giro con quelli che volevano continuare.

Comprammo anche cento polli e li affidammo ad una famiglia, costruendo un recinto con la mangiatoia, l’abbeveratoio, ecc., per vedere se ci conveniva questa impresa di tipo familiare.

Vendemmo poi la carne al mercato, ma ad un prezzo inferiore, perché le persone fossero invogliate ad iniziare questa esperienza.

Acquistammo anche sessanta pecore che a gruppi di cinque consegnammo ad ogni famiglia che avesse preparato un terreno recintato con filo spinato.

Trovammo anche una vecchia camionetta. Su una delle porte scrivemmo: “Beato Juan Diego, per la sufficienza alimentare” e trasportavamo tutto ciò che producevano le cooperative. In questo modo non pagavamo il trasporto delle merci. 

Donne al lavoro 

Invece di acquistare il pane dolce, proponemmo alle donne che se avessero voluto lavorare il pane dolce, avrebbero dovuto costruire un forno di pietre e fango.

Facemmo tre forni in differenti comunità. Uno della comunità comprava ogni settimana farina bianca e zucchero in Tamazunchale, dove costava meno. Le persone poi pagavano tutto, quando vendevano il pane nello stesso villaggio e in altre comunità.

Nella città di Aguascalientes con alcuni amici comprammo dei tessuti a basso costo. Acquistammo anche dodici macchine da cucire e le installammo in un salone della parrocchia. Le donne, aiutate da due assistenti sociali, vi lavoravano quando avevano tempo.

Loro stesse vendevano i vestiti nelle differenti comunità e con il ricavato compravano altri tessuti o il necessario per la famiglia.

Tutte queste attività creavano una mentalità di autosufficienza nelle diverse aree economiche.

Alcune donne, con il ricavato dei vestiti e del pane dolce, aprirono un negozietto nella loro stessa casa e vendevano zucchero, sale, olio, pan dolce e con il frutto delle vendite coprivano la spesa della settimana per tutta la famiglia. 

L’esperienza fu molto forte per le persone che imparavano a sostenersi da se stessa con la comunione di beni e realizzando ciò che face la prima comunità di Gerusalemme, nella quale “mettevano i beni in comune e non avevano poveri tra di loro”.

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