Famiglie e studenti senza casa nella città della rendita

La protesta degli studenti fuori sede sul caro affitti nelle grandi città mette in evidenza la carenza di una politica di edilizia residenziale pubblica di qualità che spinge anche molte famiglie verso la soglia critica di indebitamento. Le risorse per un nuovo piano Fanfani che parta dalla rigenerazione urbana
Casa
Foto Cecilia Fabiano /LaPresse

L’inusuale attenzione mediatica verso il caro affitti contestato dagli studenti fuori sede nelle grandi città ha permesso al governo di comunicare di avere avuto il via libera europeo per svincolare 660 milioni di euro destinati a venir incontro all’esigenza abitativa dei giovani. La questione casa non si può risolvere, tuttavia, senza una visione complessiva di uno strano mercato immobiliare di un Paese in forte contrazione demografica e con tassi di laureati tra i più bassi d’Europa nella popolazione tra i 25 e i 34 anni di età (28% contro la media Ue superiore al 50%).

Bisogna infatti chiedersi dove si annidi quel baco del sistema che porta un Paese a non investire per sostenere quei pochi giovani che vogliono studiare nell’Italia che, secondo Gian Carlo Blangiardo, ex presidente dell’Istat, perderà nei prossimi decenni 11 milioni di persone con un decremento progressivo del Pil di 500 miliardi di euro.

Il problema tuttavia è molto complesso perché non abbiamo solo il problema delle culle vuote, ma anche delle case vuote mentre si continua a consumare il suolo con nuove cementificazioni (70 km quadrati ogni anno secondo il rapporto Ispra 2022).

Il caro affitti lo conoscono bene le famiglie dei ceti medi del Sud che fanno grandi sacrifici per sostenere le aspirazioni di crescita dei figli che il più delle volte, poi, dopo aver studiato al Nord o all’estero, non tornano a casa per mancanza di prospettive. Un flusso migratorio inquietante, registrato puntualmente dai dati statistici.

La tenda issata per strada a Milano dalla giovane studentessa è solo il sintomo di una città che manifesta da tempo livelli insostenibili di carovita che obbligano molte famiglie, pure con doppio reddito, a spostarsi in periferia per poter arrivare in qualche modo alla fine del mese.

Secondo l’autorevole sociologo Maurizio Fiasco, sono almeno 2 milioni le famiglie in condizioni tecniche di fallimento, cioè con un costante defict tra entrate e uscite e quindi esposte a grandi pericoli in caso di uscite impreviste ma comuni nella vita delle persone.

Colpisce in questo senso la denuncia levata in questi giorni dall’associazione Favor debitoris a proposito di 304 mila prime case di famiglie indebitate che stanno per andare all’asta dopo che il credito delle banche è stato ceduto a società specializzate nel “valorizzare” il mercato dei crediti deteriorati (npl): acquistano cioè a prezzi stracciati il debito per mutui non pagati da famiglie e imprese per poi ricavarne profitto nella vendita all’asta giudiziaria. Il debito deteriorato tecnicamente è quello in ritardo di oltre 90 giorni.

Non sorprende perciò che nella Capitale vi siano circa 100 occupazioni abusive di immobili da parte di famiglie e persone che non hanno altre risorse per rispondere ad un’esigenza vitale come è l’abitazione.

È in questo quadro drammatico che è intervenuta la decisione nell’ultima legge di bilancio di non rifinanziare il fondo pubblico da 320 milioni di euro destinato al sostegno degli affitti per morosità incolpevole e quindi ad evitare lo sfratto di migliaia di persone. Una scelta dettata con l’intenzione di attuare un piano casa strutturale che tuttavia è ancora da mettere in opera.

In un tempo in cui si riscopre in campo energetico il Piano Mattei, esiste un altro intervento pubblico deciso nell’immediato secondo guerra e che in molti ricordano come Piano Ina Casa o Piano Fanfani, dal nome dell’economista e leader democristiano che lo pose in atto dal 1949 al 1963 rispondendo al bisogno abitativo di 350 mila famiglie secondo il criterio urbanistico di costruire “città e non solo case”. Direttiva poi abbandonata con il caos delle costruzioni tirate in piedi da una pressione edificatoria senza controllo.

La sfida attuale è rappresentata dalla rigenerazione urbana che riqualifica settori abbandonati della città da convertire in luoghi accessibili a redditi medio bassi.

Una grande partita è rappresentata dalle enormi caserme svuotate dalla sospensione della leva obbligatoria. Esistono da decenni proposte di urbanisti e reti sociali che spingono per la loro riconversione ad abitazioni popolari di qualità collocate nei centri storici da rivitalizzare senza cedere alla forte speculazione immobiliare che magari propone di acquisire il controllo di queste aree strategiche con la promessa di destinarne una piccola parte ad housing sociale.

Il denaro del Pnrr rappresenta, ancora per poco, la leva possibile per programmare la città pubblica da parte di amministrazioni pubbliche sempre in deficit. Un percorso possibile solo con la spinta di una cittadinanza attiva in grado di resistere alla mercificazione della città.

Senza una prospettiva di lunga durata, infatti, il momentaneo interesse mediatico può solo indurre l’adozione di misure tampone per sostenere finanziariamente le spese di affitto degli studenti con l’effetto di alimentare indebite rendite di posizione dei possessori di grandi proprietà. Esiste inoltre realisticamente il problema dei pagamenti in nero, frequenti in questa tipologia di affitti, che chiama in causa un confronto pragmatico sulle misure fiscali idonee a non vessare la piccola proprietà e a rendere così maggiormente accessibili spazi abitativi di breve durata.

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