Famiglia, stile coercitivo e condotta

Lo stile di relazione in famiglia lascia un'impronta. Non servono i comportamenti coercitivi. Quali sono dunque le alternative più funzionali?

Le relazioni che si sperimentano in famiglia lasciano un’impronta che andrà ad influenzare lo stile relazionale della persona anche in altri contesti, come ad esempio quello scolastico, o quello delle interazioni con i pari. La maggior parte dei genitori è consapevole di questo, e riconosce l’importanza del proprio ruolo nel modellare le future competenze relazionali e sociali dei figli.

Tuttavia quando i figli manifestano comportamenti provocatori, di rifiuto o di opposizione, può diventare davvero difficile per un genitore adottare un comportamento che sia coerente con i propri valori e desideri. Può accadere, infatti, di lasciarsi sopraffare dalla rabbia e di mettere in atto comportamenti verbalmente aggressivi, di punizione o di minaccia. Sebbene possano avere una qualche efficacia a breve termine, questi comportamenti tendono, nel lungo periodo, a peggiorare la situazione, inasprendo il conflitto e generando sentimenti di rabbia e frustrazione sia nel genitore che nel figlio.

Lo scienziato comportamentista Gerald Roy Patterson già nel 1982 ha sviluppato un modello teorico che illustra le interazioni familiari  “coercitive” ed i loro effetti sulla salute dei bambini. Si tratta di un processo di mutuo rinforzo in cui il genitore senza rendersene conto rinforza i comportamenti aggressivi e oppositivi del bambino, i quali a loro volta elicitano emozioni negative nel genitore, e così via, finchè l’interazione non termina perché uno dei due ha la meglio sull’altro (potremmo dire che uno “vince” sull’altro).

Il circolo vizioso può avere origine da un comportamento di rifiuto del figlio di fronte ad una richiesta del genitore, evocando in quest’ultimo rabbia e ostilità, che si intensificano man mano che l’interazione prosegue. Si genera cosi un’escalation di negatività. L’interazione potrebbe terminare, ad esempio, con la “vittoria” del genitore che urlando e minacciando il bambino di dargli una punizione, riesce ad ottenere ciò che aveva chiesto.

Vediamo un altro esempio. Una bambina ha uno scoppio di rabbia e comincia a piangere, urlare e buttarsi per terra per ottenere un giocattolo. Immaginiamo che inizialmente il genitore resista alle richieste insistenti della figlia, ma che ad un certo punto la situazione diventi difficile da gestire. Colto dall’imbarazzo (perché si trova in un luogo pubblico) o dal timore di perdere l’affetto della figlia, il padre cede e le compra il giocattolo. In questo caso è stata la bimba a “vincere” in quanto è riuscita ad ottenere ciò che desiderava mediante il suo scoppio di rabbia.

In realtà, in questo tipo di interazioni  il vincitore non è mai né il bambino né il genitore. A vincere è proprio la modalità coercitiva, che in tal modo viene rinforzata.

Qual è il messaggio implicito dietro un’interazione coercitiva? Chi è più forte (in questo caso: chi urla più forte, chi minaccia più forte) vince.

In alcuni casi questo tipo di modalità relazionale è caratterizzata da una minaccia non esplicita, ma velata: quella di togliere l’amore. Il genitore con i propri gesti, con le parole e con lo sguardo, può fare intendere al bambino che se non farà quello che desidera gli vorrà meno bene, o sarà deluso da lui. Si tratta di una minaccia ancora più insidiosa, in quanto può generare ansia, sentimenti di colpa, timore di non essere più amati o di non meritare amore.

È importante sottolineare che alcuni bambini, per le loro caratteristiche temperamentali (che sono in larga parte determinate da fattori genetici) hanno una maggiore probabilità di evocare nel genitore reazioni di tipo coercitivo. Vi sono genitori ad esempio che riferiscono di non aver utilizzato, se non raramente, punizioni e minacce con uno dei figli, ma di trovarsi “costretti” a farlo con un altro figlio, spinti dal suo comportamento ribelle e oppositivo.

Perché questo accade? Un’ipotesi è che alcuni bambini, più di altri, abbiano una carenza nelle strategie di auto-regolazione delle emozioni negative. Non sanno cioè gestire l’attivazione  emotiva intensa associata a vissuti come la frustrazione e la rabbia. L’eventuale reazione impulsiva e/o rabbiosa del genitore non farà altro che aumentare l’attivazione emotiva del bambino, senza fornirgli un modello o un aiuto per imparare ad auto-regolarsi.

Ecco perché i bambini o i ragazzi che sperimentano in famiglia modalità relazionali coercitive tenderanno a riproporre uno stile relazionale simile con i coetanei o con altri adulti (ad esempio gli insegnanti) e saranno più a rischio di sviluppare problemi della condotta.

Quali sono dunque le alternative più funzionali? Come possiamo modellare le capacità di auto-regolazione così importanti per uno sviluppo emotivo e sociale armonico? Come possiamo prevenire l’insorgere di problemi della condotta nei nostri figli? Ecco alcuni suggerimenti, che possono rappresentare dei primi passi in questa direzione:

Riconoscere che sta per iniziare un’interazione di tipo coercitivo e interrompere l’escalation di emozioni negative. Può essere utile fermarsi un momento e invitare il bambino a fare lo stesso. Potremmo dire : «Siamo entrambi molto arrabbiati, facciamo qualche respiro per calmarci e poi parliamo, ok? Che sta succedendo?». Aiutare il bambino a parlare di come si sente, sebbene sia molto difficile, costituisce un grandissimo aiuto per lo sviluppo delle capacità di auto-regolazione. Dando un nome a ciò che gli “accade dentro”, egli ha infatti la possibilità di padroneggiarlo meglio e di trovare strategie più funzionali per gestirlo.

Ridurre il più possibile il ricorso a punizioni e minacce. È importante ricordare che la punizione, sebbene possa talvolta funzionare a breve termine, non insegna nulla al bambino su come gestire meglio la situazione in futuro. Essa inoltre genera rabbia e frustrazione. Il suo utilizzo va dunque limitato ad alcune situazioni e gestito con attenzione. Se ad esempio decidiamo di togliere un privilegio al bambino, come la possibilità di guardare il suo cartone preferito, evitiamo di comunicarlo con un tono rabbioso e aggressivo. Se possibile concordiamo prima con il bambino quale sarà la conseguenza di un determinato comportamento e poi manteniamo l’accordo, evitando incoerenze ed incertezze. Un altro aspetto importantissimo è non utilizzare minacce, ancor più se non vi è la determinazione a metterle realmente in atto.

Fungere da modello per lo sviluppo di comportamenti pro-sociali e di cooperazione. Spesso l’attenzione del genitore si concentra sull’arginare e ridurre i comportamenti negativi. Tuttavia, ancor più importante è favorire lo sviluppo di un repertorio comportamentale positivo. Ci sono molti modi per fare questo: il primo è fungere da modello, essendo sensibili e ricettivi rispetto ai bisogni emotivi del bambino, dandogli fiducia e affidandogli dei piccoli compiti (come prendersi cura di qualcuno o di qualcosa) che lo facciano sentire competente e responsabile. Un altro passo importante è quello di creare dei contesti che favoriscano la cooperazione, che allenino le capacità empatiche e di gestione del conflitto.

Utilizzare il rinforzo positivo: è fondamentale, soprattutto con i bambini che hanno un temperamento oppositivo e incline alla rabbia, fornire attenzione nei momenti in cui si comportano in modo adeguato e incanalare le loro energie verso attività costruttive e piacevoli. Soprattutto è importante non perdere occasione per riconoscere e gratificare i comportamenti pro-sociali che mettono in atto spontaneamente o sotto la nostra guida.

Nella misura in cui riusciremo a sviluppare contesti educativi che favoriscano l’auto-regolazione e che allenino le capacità pro-sociali, contribuiremo non solo a ridurre il rischio di problemi della condotta nei nostri figli, ma anche allo sviluppo di una società più cooperativa, basata non su rapporti di forza di tipo coercitivo, ma sull’impegno a ricercare il benessere di tutti gli individui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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