«Io quest’anno aiuterò per la realizzazione della sagra come l’anno scorso insieme agli altri ragazzi. Perché non venite anche voi come fanno gli altri genitori?». È questo l’invito che nostro figlio ci ha rivolto e che, con mio marito, abbiamo deciso di accettare, non immaginando quale sorprendente settimana di ferragosto ci attendeva. La sagra è quella degli gnocchi di patate che ogni anno si tiene a Faltona, piccola frazione del Comune di Talla (Arezzo), immersa nelle foreste del Casentino, nella quale da anni trascorriamo le vacanze.

Veduta di Faltona (ph Marzia Bernardini)
Qui, come in tante località del nostro Paese, la Pro Loco è il cuore pulsante della vita sociale. Al suo presidente, Andrea Braconi, abbiamo quindi offerto la nostra disponibilità. Ci ha confidato che la comunità è piccola e gli aiuti sempre utili. In due giorni ci siamo trovati a far parte dello staff, accolti con semplicità e immediatezza. Si tratta di un’équipe variegata, dai 7 agli 80 anni. Ci sono persone che abitano a Faltona tutto l’anno, altre che vengono in estate; chi è in vacanza e chi prende ferie per l’occasione. Immersa tra i boschi di castagni, Faltona ha abbondanti e tipiche coltivazioni di patate. Per questo vi si fanno due sagre: una, in agosto, degli gnocchi e una l’8 dicembre della polenta dolce ed altri prodotti a base di castagne.

Durante la preparazione degli gnocchi (ph Marzia Bernardini)
La struttura nella quale si fanno questi eventi è di proprietà della Pro Loco, ma non sapevamo quanto lavoro ci fosse prima! Occorre tagliare l’erba, pulire, montare tavoli e sedie. Ognuno mette a disposizione tempo, abilità e mezzi, dalle auto ai trattori. E poi occorre cucinare, perché il menù della festa è fatto artigianalmente secondo ricette tradizionali: dagli gnocchi ai sughi per crostini e primi, dai contorni alle crostate. E poi si cuoce carne alla griglia e si servono affettati e formaggi tipici di queste valli. Nei preparativi si condividono conoscenze e chi ha più esperienza la offre agli ultimi arrivati: non c’è chi punta a emergere, si capisce che è l’insieme che deve funzionare, la forza sta nell’essere un “noi” compatto e coordinato.
La prima sera, quando i clienti iniziano ad arrivare, non manca un po’ di agitazione. Con lo staff ci si ferma insieme: c’è chi incoraggia, chi si stringe la mano, chi fa il segno della croce. Tutti uniti da un obiettivo: fare le cose bene, con amore, pensando alle persone che verranno.
Divisi in équipe ognuno è al proprio posto: apparecchiare e sparecchiare, prendere ordini e servire, preparare i piatti, aprire il bar e animare i giochi. E così si snodano le tre giornate, con tre cene e un pranzo.
E il presidente Andrea? Indossata la maglietta arancione dello staff, lui e la moglie Marzia, sono in prima linea nella gestione generale. Guardando dal di dentro questa grande macchina organizzativa è sorprendente come tutto funzioni, messo su in pochi giorni, con l’aiuto di un gruppo, tutto volontario, di una cinquantina di persone. Ma forse proprio la motivazione e il sentirsi parte di una comunità, ne è il segreto.

(ph Giovanni Carosi)
E grande è anche l’attenzione alle persone. I bambini e i ragazzi che si occupano del servizio a tavola, ad esempio, a volte sono invitati ad andare a giocare per non fare turni troppo lunghi e sono i primi a mangiare quando si cena con lo staff. Uno di loro mi diceva. «Questa sera il presidente è venuto a parlare con me». «Ti ha chiesto se andava bene il lavoro?». «No, mi ha chiesto se ero felice».
Tutto semplice, si potrebbe pensare. Ovviamente anche qui, come in ogni comunità, ci sono differenze tra persone, tra caratteri, tra modi di lavorare e le difficoltà non mancano. Ma spesso, quando la tensione si alza, è come se suonasse dentro ciascuno, tacitamente, un campanello di responsabilità: si offre un aiuto, si fa una battuta, si ascolta un’idea magari arrivata nella corsa per preparare un ordine. È un gioco di sguardi, di generosità, di semplicità.
Qui la sagra si fa da decenni. I nonni e i genitori di quelli che siamo qui oggi, ne sono stati i pionieri. E alcuni di loro sono ancora qui. Con 80 anni compiuti, mantengono il loro posto in cucina. Ma non immaginate che siano lì per dare ordini, sono i più silenziosi. Lavorano e osservano, conoscono tutto e, se vedono qualche difficoltà, intervengono mettendosi al lavoro al nostro fianco. E continuano a guardare al futuro e fare proposte su come migliorare quella struttura che loro stessi hanno contribuito a costruire, anno dopo anno.
Sbamm! All’improvviso, l’ultima sera, un colpo secco spaventa lo staff della cucina: uno dei pizzaioli ha sbattuto la pala sul tavolo tra le risate generali. Uno scherzo? No, è per richiamare al silenzio, è il momento di un annuncio. Il presidente comunica che la partecipazione a questa edizione della sagra ha superato le più rosee aspettative. E la stanchezza si scioglie in un lungo applauso. La sagra infatti non è solo un appuntamento di festa, è sopravvivenza per queste terre. Qui dove le attività commerciali sono costrette a chiudere, i paesi si spopolano e aumentano le case in vendita, grazie al ricavato di iniziative come questa, accanto a miglioramenti nelle strutture e attrezzature per le sagre, si possono fare investimenti per la città: dall’arredo urbano a iniziative sociali e culturali.
A notte inoltrata, l’ultima sera, mentre ancora sistemiamo le ultime cose, veniamo chiamati con tutti i collaboratori sotto il palco per la foto di gruppo e poi… battaglia con secchiate d’acqua tra corse e risate! Quando rientriamo a casa, siamo fradici e stanchissimi. Ma guardando Faltona addormentata e il suo campanile che punta ad un cielo pieno di stelle, nasce nel cuore solo gratitudine per aver potuto conoscere meglio questa comunità – della quale adesso più che mai ci sentiamo parte – che ci ha mostrato che vivere in una città, in ogni città, vuol dire anche mettersi in gioco e provare a fare la propria parte.