Eventi d’estate

Illuminante Micha van Hoecke, regista. Un palcoscenico cupo, pozzi e praticabili semoventi, un cielo specchiato per un dramma mimico e coreografico, sulla scorta del Trono di sangue di Kurosawa e complici i costumi manieristici di Marella Ferrara. Mimi – una cruda Erinni fisicamente irretita dal male – balletti orientaleggianti commentano Verdi in un allestimento originale e moderno che funziona, perché c’è spessore culturale e rispetto musicale. La direzione di Daniele Gatti felicemente spiazza: strappate d’archi violente, accompagnamenti energici, rallentando delicatissimi da un’orchestra docile e in gran forma (ottimi gli ottoni); insomma, chiaroscuri verdiani di immediata e sanguigna bellezza. E se il coro, posto dietro l’orchestra – mentre sul palco si mima il dramma – eccelle in compattezza (grazie a Marcel Seminara) il cast vede il protagonista Carlos Álvarez un grande baritono verdiano, che disegna un Macbeth impetuoso ma incerto, con una tecnica così strabiliante che rende la sua melodiosità alla Bastianini, facile; ottima la Lady di Tatiana Serjan – la scena del sonnambulismo con l’acuto finale in pianissimo è da antologia -, ma pure il Macduff mesto di Giuseppe Gipali e il nobile, arcuato Banco di I l d e b r a n d o D’Arcangelo. L’ambientazione orientale, fascinosa, suggerisce quella extratemporalità che fa di Macbeth quello che Verdi e Shakespeare volevano: una parabola di forte moralità sulla lenta seduzione del male nel cuore umano, libero di rifiutarlo o di prenderlo. Pubblico, giustamente, entusiasta. 0° Macerata Opera Festival. Sferisterio, J.Offenbach,Les contes d’Hoffmann. Gusto finissimo nella messinscena di Pierluigi Pizzi sul lungo proscenio. Due classici loggiati semoventi, su doppia scena, si fronteggiano e si dileguano in bianco e nero (il bene e il male) lungo l’opera fantastica, anno 1883. Pizzi crea costumi patinati, inventa diavoli alati e cancan, tocca un apice nella gondola immobile dell’atto veneziano, simbolico bivio di scelta fra amore vero e amore falso. Ma la metafora vola lieve, con il corpo di ballo di Sofia, alato sotto la guida di Gheorghe Iancu, come la musica, vaporosamente ricca di melodia e ritmo (come non pensare a Rossini?). I racconti dello scrittore Hoffmann, della sua ricerca d’amore (troverà quello vero?) e della decisione conclusiva di dedicarsi solo allo scrivere, sanno appunto di parabola, anche se tutto fiocca sottile: in apparenza, perché certe sottolineature dei bassi ammantano di sospetto la frivolezza delle storie e il gusto del divertissement. coro, ben diretto da Carlo Morganti, accompagna perfettamente il cast: brillano Ruggero Raimondi (sempre grande, anche se ora forse più come attore che come cantante) disegnando le sfaccettature del maligno, la voce fresca di Vincenzo La Scola (Hoffmann), la brillantissima Olympia di Desirée Rancatore, e le belle voci di Sara Allegretta (Giulietta), Annalisa Raspagliosi (Antonia) e l’intero cast. Dirigeva con giusto brio e tatto Fréderic Chaslin, accompagnando le voci senza strafare, grazie all’Orchestra Filarmonica Marchigiana molto cresciuta. Spettacolo elegante e raffinato, come Offenbach, capace di dire cose serie nel ritmo dello spumantino. ,

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