Europa: un panorama politico frammentato

Parlamento composito e di non chiara lettura. Bisogna farsi carico delle differenze e trovare vie concrete per affrontare costruttivamente i dossier più spinosi. Per una "concordia nella varietà"

Sarebbe un grave errore politico, dopo le elezioni europee del 26 maggio, fare finta che tutto continuerà come prima, solo perché i sovranisti e gli anti-europeisti non hanno modificato, nella sostanza, la maggioranza parlamentare a Strasburgo. È vero che popolari, socialisti, liberali e verdi potrebbero agilmente formare una nuova coalizione delle forze che sostengono l’Unione. Ma è anche vero che in Paesi europei di grande rilevanza, come la Francia e l’Italia, i cittadini hanno premiato formazioni fortemente critiche verso Bruxelles. Di ciò occorrerà tener conto; non per tornare ad un concerto delle nazioni che sarebbe la negazione stessa dell’Europa, ma per farsi carico delle vere istanze che hanno causato il rafforzamento dell’ala euro-scettica dell’opinione pubblica.

Emerge, per la verità, un panorama politico europeo molto più frammentato e per molti versi inedito. A parte il paradosso inglese, con i cittadini di Sua Maestà che mandano entusiasticamente a Strasburgo, nella più democratica e popolare delle istituzioni europee, una folta pattuglia di parlamentari pro-Brexit che, si suppone, non dovrebbero avere alcuna voglia di andarci, una novità di grande rilievo è il risultato dei verdi, in forte crescita specie nel nord Europa. Non si tratta, è bene precisarlo, di ambientalisti naif: al contrario, siamo dinanzi a un nuovo progetto politico a tutto campo, che coinvolge il modello economico, la solidarietà inter-generazionale, la sostenibilità, la qualità della vita, la visione delle relazioni internazionali, i diritti ad ampio spettro.

Le voci, all’interno del nuovo emiciclico di Strasburgo, saranno perciò in forte dissonanza, e non è detto che ciò rappresenti un male, costituendo anzi l’occasione di un aspro ma necessario confronto politico sui temi della protezione sociale, del rapporto dell’Europa con il resto del mondo, della sicurezza in senso lato, della concezione mono-culturale o pluralista della società. Un pluralismo che l’Unione europea dovrà gestire anzitutto al suo interno, tra gli Stati membri, evitando di aumentare la cacofonia già esistente su temi essenziali quali le migrazioni o la “disciplina di bilancio”.

Ma anche tra le formazioni ideologicamente affini, come quelle sovraniste, c’è una nettissima divergenza sulle politiche concrete da attuare, che si tratti dell’austerity o della condivisione della responsabilità verso i migranti. Persino il tema apparentemente federatore della “difesa delle frontiere” assume in realtà un significato molto diverso, a seconda che lo si guardi da Budapest o, invece, da Roma.

Ed è qui che l’idea di un’Europa ri-nazionalizzata non sta in piedi: se ognuno sta per conto suo, l’Unione stessa non ha ragion d’essere. In altre parole, c’è una scelta chiara da fare, tra democratizzare la sovranità europea condivisa e rendere assoluta la sovranità delle nostre democrazie. Ciò che dobbiamo chiedere all’Unione è di essere più fedele al suo motto, che è “concordia nella varietà”, purché la varietà non distrugga la concordia.

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